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San Diego Comic-Con 2015, il Panel di Sanjay's Super Team

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Dopo il liveblogging di Giovedì, che ha visto protagonisti per la giornata Disney la serie a fumetti Disney Kingdoms, il corto Pixar Sanjay's Super Team e la serie d'animazione di Disney XD Gravity Falls, ecco venir riassunti e approfonditi i singoli panel in articoli dedicati.

Da sinistra, il regista Sanjay Patel e la produttrice Nicole Grindle
Dopo la première al festival d'animazione internazionale di Annency, Francia, Sanjay's Super Teamè approdato al Comic-Con con una proiezione che pare abbia conquistato il pubblico lì presente, che era rimasto invece per la stragrande maggioranza deluso da Lava, altro corto Pixar visto al cinema con Inside Out, che non ha convinto a pieno la critica.

Il cortometraggio è ispirato alla storia personale del regista Sanjay Patel, che ha unito quello che amava con quello che ignorava, ed è la storia del piccolo Sanjay, che allontana la cultura indiana dei suoi genitori per avvicinarsi a quella americana dei suoi amici a scuola. Infatti Sanjay preferisce guardare i cartoni in tv che unirsi in preghiera al padre, ma quando è costretto a fare le preghiere mattutine, immagina tre dei indiani prendere vita come fossero supereroi americani, e si ritrova nella sfida tra questi e un mostro fastidioso.

Regista e produttrice con il poster autografato
"Mentre io veneravo i miei dei in TV, lui venerava i suoi al suo santuario", il regista Patel così ha raccontato nel panel. Dopo avere evitato per trent'anni di fuggire alla cultura dei suoi genitori, è stato riaccompagnato alla sua eredità indiana quando una cultura rave più che unica investì San Francisco. I rave sullo stile del Goa trance sono diventati famosi per l'uso di immagini psichedeliche e musica indiana trance, oltre all'uso illecito di droghe. Patel non poté fuggire da questi familiari suoni di campane e canti che risuonavano nella Bay Area di San Francisco, dove Pixar è situata.

"Ho decisamente rifiutato la cultura dei miei genitori. Volevo essere un americano," Patel ha confessato. "Dopo di che c'è stata l'esplosione della cultura rave che mi rimaneva in testa tutto il tempo. Le immagini del Goa trance erano dappertutto sugli album musicali. Mi ha portato a vedere le credenze dei miei genitori in maniera diversa." Solo allora Patel si è avvicinato all'arte e alle storie della cultura di suo padre. "E quando lo feci, grazie a quello che leggevo e vedevo, ho riesaminato e riabbracciato la cultura.

Il corto al panel è stato proiettato ben due volte, la prima all'inizio del panel, e la seconda alla fine. Nel mentre invece il regista Sanjay Patel e la produttrice Nicole Grindle hanno parlato del corto e soprattutto di quanto questo si basi sull'esperienza personale del regista, tra cui un video reazione del padre di Patel. Venuto per la prima volta negli studi Pixar, suo padre non aveva mai visto nessuno dei film a cui suo figlio aveva lavorato, e nemmeno un singolo film in all'incirca quarant'anni. Il video mostra suo padre che cerca di dare la sua reazione al corto, mentre cadeva in lacrime, essendo stato molto preso dal livello personale della storia. Grazie a questo video la quantità emozionale del corto è cresciuta ancora di più, come raccontaPeter Sciretta di Slash Film.
La prima volta che il corto è stato proiettato nella sala, pensavo a quanto questo era diverso paragonato agli altri corti Pixar e Disney. Sanjay's Super Team sembra un progetto molto più personale degli altri corti Pixar che lo hanno preceduto. 
La prima impressione che ho avuto dopo la proiezione era ammirazione piuttosto del solito amore che invece provavo vedendo gli altri corti Pixar. Ma ho avuto la fantastica esperienza di guardare il film una seconda volta alla conclusione del panel e ho avuto una risposta completamente diversa. La seconda volta che ho guardato il film ho avuto una connessione emozionale più forte con la storia. Potrei avere anche pianto un pò. 
Quello che è cambiato nella mezz'ora durante la prima e la seconda visione? Pixar ci ha presentato la storia dietro al corto. Conoscendo la storia personale mi ha fatto apprezzare il corto in un altro livello. 
Fonte: Yahoo Movies
Sempre grazie all'articolo di Slash Film, conosciamo dietro le quinte della produzione del corto, ispirato ad un libro illustrato dal regista, Little India, presentato al Comic-Con quasi un decennio fa in una versione preliminare, si espanse dopo essere stato pubblicato da Chronicle Books con il titolo Ramayana: Divine Loophole. Molti animatori Pixar pubblicano libri indipendenti dallo studio, e quindi Patel fece lo stesso, animando in Pixar durante il giorno e lavorando al libro di notte. Pixar stessa si avvicinò a Sanjay per provare a sviluppare un cortometraggio basato sulla sua cultura indù, e, in un primo momento, Patel era esitante sul progetto.

La prima versione del corto era intitolata Thief (ladro), ed era estremamente diversa dal cortometraggio finito. Nel panel hanno mostrato questa versione attraverso degli storyboard, in cui il bambino sta leggendo un fumetto supereroistico che finisce con un cliffhanger. Così, volendo sapere come va a finire la storia, ruba delle monete dalla scatola delle donazioni per andare a comprare il nuovo numero. Ma prima che questo possa accadere, viene catturato da dei preti indù e viene mandato nel mondo delle divinità indiane. E' lì che ha una battaglia sullo stile di quelle dei supereroi, simile a quella che è rimasta nel corto finale. Alla fine viene riportato nella realtà e vede quello che è successo a lui disegnato su un muro. La storia degli dei adesso per lui ha un significato maggiore. Il bambino decide di rimettere a posto il denaro rubato dalla scatola delle donazione, insieme a quello guadagnato. Ritorna così a casa per disegnare il suo fumetto, ispirato agli dei e alla cultura che prima ignorava. Questa è stata la versione che ha presentato a John Lasseter, che invece gli suggerì di raccontare una storia più vicina alla sua infanzia.

Fonte: Twitter @mefitzgerald
Sono stati rivelati anche altri dettagli, oltre al fatto che il corto non ha dialogo e che è accompagnato dalla musica di Michael Danna, dallo stile molto indiano con campane e canti che sono parti della tradizione indù, lo stile del corto, molto stilizzato se guardiamo le immagini, è parzialmente ispirato agli anime giapponesi, dal design degli occhi grandi dei personaggi allo stile dell'azione molto dinamica, i personaggi infatti tirano sfere di fuoco volando in aria, con lo sfondo che sfreccia come un insieme di linee. Infatti le ispirazioni visive di Patel includono tutto dalla tradizionale arte indiana, agli anime fino a 2001: Odissea nello spazio. Con una combinazione tra i colori dei supereroi e una storia filtrata nelle radici del simbolismo indiano, "E' stato così diverso da quello che abbiamo fatto precedentemente," ha raccontato la produttrice Nicole Grindle. "Tutti erano così eccitati e di supporto."

Dopo queste reazioni positive e soprattutto la gravitas che il corto porta con sé grazie alla storia personale del regista, si guarda agli Oscar con speranza, secondo IGN"In generale, Sanjay's Super Team è un grande corto d'animazione che, si spera, sarà ricordato quando sarà tempo di Oscar." Oppure, secondo Business Insider, il corto "è una delle più carine esche da Oscar che non vedevamo da tempo." Pixar non vince un Oscar per il miglior cortometraggio da Pennuti spennati, e non viene nominato da La Luna.

San Diego Comic-Con 2015, il Liveblogging della giornata Disney di Sabato con i Muppet

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Il nostro liveblogging della terza giornata del San Diego Comic-Con 2015 per gli eventi Disney comincerà alle 23:30 e andrà avanti fino alla fine dell'ultimo panel. Disney sarà presente con l'evento dei Muppet, riassunto sotto il player.

Live Blog San Diego Comic-Con 2015: Terza giornata Disney

da mezzanotte all'1:00
La nuova serie dei Muppet su ABC
I Muppet ritornano con una serie in prima serata quest'autunno su ABC in un modo in cui non sono stati mai visti! Girato nello stile del falso documentario, i Muppet prendono vita, dando al pubblico un'opportunità di esplorare la loro ricca vita privata e le loro intense relazioni interpersonali, l'amore, le rotture, i conseguimenti, le delusioni, quello che vogliono, e i loro desideri. I co-creatori e produttori esecutivi Bill Prady (The Big Band Theory) e Bob Kushell (I Simpson), il produttore esecutivo e regista Randall Einhorn (The Office) e il produttore esecutivo Bill Barretta (burattinaio storico della saga, co-produttore di Muppets 2 - Ricercati, e regista della serie di corti Muppets Moments di Disney Junior) proietteranno la presentazione video che ha ispirato la serie, e il network a produrre una stagione completa, e discuteranno la prima annata di questa nuova serie più adulta per bambini e adulti di tutte le età dei Muppet. Nel panel saranno presenti anche alcuni Muppet, dando la possibilità al pubblico presente di vederli dal vivo.

Qui per consultare il programma Disney completo che include le giornate di Domenica.

L'articolo in cui sarà riassunto e approfondito quello che è successo nel panel di oggi sarà qui sul sito nei prossimi giorni.

San Diego Comic-Con 2015, il Liveblogging della giornata Disney di Domenica tra Phineas e Ferb e le spille Disney

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Il nostro liveblogging della terza giornata del San Diego Comic-Con 2015 per gli eventi Disney comincerà alle 18:30 e andrà avanti fino alla fine dell'ultimo panel. Disney sarà presente con due eventi, riassunti sotto il player.

Live Blog San Diego Comic-Con 2015: Quarta giornata Disney

dalle 19:00 alle 20:00
L'ultimo giorno d'estate: L'addio a Phineas e Ferb
Dopo più di 200 migliori giorni di sempre, le montagne russe sono finite per Phineas e Ferb e i loro amici, senza menzionare Perry l'Ornitorinco e la sua arcinemesi il Dr. Heinz Doofenshmirtz. Per un ultimo viaggio nell'Aerea dei Tre Stati, Michael Schneider di TV Guide Magazine riunisce i creatori e i produttori esecutivi di Phineas e Ferb, Dan Povenmire, interprete anche di Doofenshmirtz, e Jeff "Swampy" Marsh (il Maggior Monogram), insieme alle stelle della serie Vincent Martella (Phineas), Alyson Stoner (Isabella), e Dee Bradley Baker (Perry) per ricapitolare il giorno, un'altra volta.

dall'1:00 alle 2:00
Le spille Disney
Una discussione sulle future spille Disney.

Gli articoli in cui sarà riassunto e approfondito quello che è successo in ogni panel di oggi saranno qui sul sito nei prossimi giorni.

Ralph Spaccatutto, in via di produzione il sequel

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Concept art di Ralph Spaccatutto presente anche nel libro The Art of Wreck-It Ralph
Le voci di un sequel del Classico Disney Ralph Spaccatutto, uscito a Dicembre 2012, sono iniziate dopo il successo del film, che con 471 milioni di dollari globali è sesto maggior incasso di Disney Animation preceduto solo da Frozen, Il Re Leone, Big Hero 6, Rapunzel e Aladdin, ma anche grazie alla fortissima creatività e idee presenti nel film, che avevano un potenziale che poteva essere esplorato in un continuo. Il regista Rich Moore nelle interviste aveva detto più volte che era interessato ad esplorare in un possibile sequel il gaming online e quindi a portare Ralph Spaccatutto letteralmente ad un nuovo livello.

Il compositore del film, Henry Jackman, nel 2014 aveva dichiarato che "Non so più del fatto che stanno lavorando ad una storia," che non significava affatto che il sequel era stato approvato da Disney, ma ora il doppiatore di Ralph, John C. Reilly, ospite del festival cinematografico irlandese Galway Film Fleadh, in un'intervista con il Botta&Risposta con il pubblico, ha detto "Credo di poterlo dire qui, per la prima volta... Ralph Spaccatutto 2 è in arrivo!" Confermando che ha firmato o firmerà per il sequel, "ci siamo accordati io e Disney proprio qui a Galway, al telefono". [Independent .ie]

John C. Reilly a destra durante l'annuncio
Il fatto che un attore abbia nel contratto un accordo per dei sequel è di routine, di solito, specialmente nei blockbuster, durante l'ingaggio di un attore per il primo film, nel contratto c'è l'opzione per dei sequel, che significa che se lo studio ordinasse dei sequel, il determinato attore deve per contratto ritornare. Ma qui la situazione è diversa, infatti John C. Reilly è stato contattato da Disney proprio adesso per il sequel, e non prima di fare Ralph Spaccatutto, e questo vuol dire che Disney sta per ordinare il film e annunciarlo, a meno che non cambi idea all'improvviso, come nel caso del terzo film di Tron; Disney aveva preso degli accordi per girarlo a fine anno a Vancouver, ma poi non ordinò il film perché non aveva posto nel suo listino di distribuzione per i prossimi anni, e quindi è stato rimandato.

Per quanto riguarda le date di uscita future occupate nel listino Disney dai film Disney Animation, a Marzo 2016 c'è Zootopia, Novembre 2016Moana, e due film sconosciuti, sempre a Marzo e Novembre, nel 2018.  Tra questi due film, uno di questi è sicuramente Frozen 2, l'unico film Disney Animation annunciato senza ancora una data di uscita, mentre per l'altro si vocifera che sia l'adattamento di Jack e il fagiolo magico, con il titolo Giants, diretto da Nathan Greno (regista insieme a Byron Howard di Bolt e Rapunzel), film in sviluppo ma mai confermato da Disney. Recentemente gira voce anche che il film sia fermo per dei problemi di storia, e magari proprio come per Frozen, che teoricamente era in stato di sviluppo da prima dell'uscita di Biancaneve e i Sette Nani, ci vorrà del tempo per vederlo. Sicuramente se una delle date del 2018 è occupata da Frozen 2, nell'altra non può uscire un altro sequel; è uscito solo un sequel, Bianca e Bernie nella terra dei canguri, in novant'anni di storia di Disney Animation, escludendo i film ad episodi, e non possono farne uscire il secondo e il terzo nel giro di otto mesi. 
La nuova politica di John Lasseter per i sequel dei film Disney Animation e Pixar è quella di produrli solo con il team originario di registi a bordo, se questi hanno un'idea per il continuo, come si sta vedendo per Alla ricerca di Dory, Toy Story 4 e Frozen 2, in cui rispettivamente Andrew Stanton, John Lasseter e Chris Buck e Jennifer Lee sono ritornati o ritorneranno come registi. Quindi anche Ralph Spaccatutto 2 dovrebbe vedere il ritorno di Rich Moore, adesso impegnato con la regia di Zootopia con Byron Howard. Dato che il regista terminerà il lavoro su Zootopia a inizio del prossimo anno, Ralph 2 potrebbe uscire dopo il 2019, contando all'incirca tre anni, se non saranno pure quattro, di distanza.

Alcuni dei film Disney che saranno distribuiti nel 2018-2019, tra cui Frozen 2, Cars 3 e Gli Incredibili 2, dalla conferenza di Disney tenuta a San Pablo lo scorso Maggio
Quindi dopo questa notizia sappiamo che Disney è intenzionata a dare il via alla produzione del sequel, che magari annuncerà in via ufficiale proprio in occasione del D23 Expo, fiera come il Comic-Con però dedicata esclusivamente al mondo Disney, che si terrà ad Anaheim, California dal 14 al 16 Agosto 2015, tra all'incirca un mese da adesso, e che noi seguiremo con il liveblogging e articoli dedicati.

Esattamente come per il sequel de Gli Incredibili, quello di Ralph Spaccatutto è uno richiamato a gran voce dagli appassionati del primo film, e non è come nel caso di Frozen o Toy Story 3 in cui il sequel è quasi obbligatorio dati gli incassi mostruosi dei due film. Ralph è stato un film più piccolo e se hanno intenzione di produrre il sequel, non c'è l'ipotesi che l'abbiano fatto solo per soldi, anche perché i Disney Animation ormai si sono così consolidati, e, esattamente come avviene con Pixar, anche un film originale incassa così tanti soldi che fare dei sequel non è poi così necessario.

MyNewGreatStory: Disneyland: 60 anni d'immaginazione e magia

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“Tutti quelli che sono arrivati in questo posto felice siano i benvenuti. Disneyland è la vostra terra. Qui il tempo rivive ricordi antichi del passato e qui la gioventù può assaporare la sfida e le promesse del futuro. Disneyland è dedicata alle idee, ai sogni e agli avvenimenti che hanno costruito l’America, nella speranza che sia fonte di allegria e di ispirazione per tutto il mondo”

(Tratto dal discorso dell’inaugurazione, 15 luglio 1955 - Walt Disney)


60 anni di sogni, di immaginazione e di avventure. 60 candeline per l’unico parco a tema progettato e realizzato sotto la supervisione di Walt Disney: Disneyland. L’obiettivo principale di Walt era quello di costruire il posto ideale e perfetto per le famiglie americane, “The Happiest Place on Earth” come recitava l’insegna al suo ingresso. Doveva essere un luogo di divertimento basato sull’immaginazione e sulla fantasia. Il 1955 era l’anno perfetto per far nascere un parco divertimenti perché ebbe inizio il “babyboom”, nasceva una nuova generazione di bambini, figli della seconda guerra mondiale. La classe media americana infatti poteva beneficiare di buoni servizi ferroviari, di nuovi servizi aerei, di grandi centri commerciali, ma soprattutto con le grandi high-way potevano spostarsi in automobile in maniera più comoda. Disney con questo parco a tema, dopo il cinema di animazione, voleva rivoluzionare la società con “i servizi di intrattenimento”. Disneyland nei weekend doveva diventare la meta ambita della società americana, 65 ettari di parco divertimenti a soli 30 chilometri da Los Angeles nella cittadina di Anaheim.




L’idea di un parco tematico venne a Disney mentre accompagnava le sue due figlie al Griffith Park di Los Angeles. Pensò di costruire un parco ad hoc per la casa di Topolino, uno spazio dove gli adulti e i bambini potessero giocare assieme. Come racconta Walt Disney: “Disneyland non è stata creata da una mente in infantile: è nata piuttosto dal dialogo che ho avuto con uomini sinceri, che non si vergognano di essere anche bambini…A che età non siamo più bambini? A sei, diciotto, trenta, sessant’anni? Se siamo onesti, risponderemo mai: la curiosità, l’entusiasmo, la voglia di piangere e ridere sono virtù tipiche dei bambini…Un adulto incapace di essere bambino non può gustare il piacere della vita…L’importante è non invecchiare mai!”



Il concept iniziare era di costruire il “Mickey Mouse Park” vicino ai nuovi studi di Burbank. L’intento era estendere la visita degli studi ad un parco tematico dedicato ai personaggi Disney. Così iniziò a visitare numerosi parchi a tema per trarne ispirazione come il Tivoli Gardens di Copenhagen, l’Efteling in Olanda, il Greenfield Village in Michigan, il Playland a Rye, NY e il Fairyland a Oakland, CA. Ma Roy non era intenzionato ad ascoltare il fratello perché questa sua nuova idea avrebbe creato scompiglio negli studi di animazione, non portando giovamento alle produzioni future. 

Tivoli Garden
Così Walt senza ascoltare il fratello fondò una nuova società la “Wed Entreprises”, acronimo del suo nome, pagandosi da solo le spese di questo nuovo progetto. Mise insieme i migliori tecnici degli studios e gli diede il nome di “Imagineers”, gli ingegneri dell’immaginazione, per aiutarlo a realizzare il suo grande sogno: costruire uno incredibile parco-spettacolo Disney di proporzioni gigantesche. Il parco doveva essere fruibile ogni giorno da tutte le famiglie americane che potevano addentrarsi in una tipica cittadina americana, circondata da montagne e fiumi ed una stazione che avesse un treno che circolava lungo tutta l’area del parco, come nella sua villa, ma in scala più grande per poter dare la possibilità a tutti di poter vivere quelle emozioni. La stazione doveva essere l’ingresso del parco composto da una strada principale detta “Main Street” che doveva ricordare la sua città natale Marceline con una banca, un tribunale, una stazione dei pompieri, un cinema, un emporio, un barbiere, un negozio di magia e molti altri edifici. 

Gli Imagineers






Tutto doveva avere una scala minore rispetto alla realtà perché l’intento di Walt era di far vedere ogni cosa dalla prospettiva e dalla visione di un bambino. Ma soprattutto voleva immergere lo spettatore nel suo film migliore con i suoi personaggi più celebri. Alla fine di questo percorso doveva ergersi un castello delle fiabe. Davanti ad esso doveva esserci una piazza rotonda che indicava le 4 direzioni dei 4 territori, Adventureland (la Terra dell’Avventura), Frontierland (la Terra della Frontiera), Fantasyland (la Terra della Fantasia), e Tomorrowland (la Terra del Domani). A Disneyland non ci si poteva perdere, ma soprattutto si doveva riuscire a visitare il parco in un giorno solamente. 
Adventureland doveva immergere lo spettatore nella grande avventura dei paesi tropicali ed esotici, con l’attrazione “Jungle Cruise”, dove con una serie di canoe si poteva scoprire la natura incontaminata e le varie specie animali nella più grande foresta del mondo.
Frontierland doveva raccontare tutta la storia della conquista del vecchio West dove si poteva salire sul “Mark Twain”, un battello a vapore a pale tipica del fiume Mississippi.  
Fantasyland era la terra della fantasia, molto cara a Disney, dove si potevano incontrare i personaggi in carne ed ossa del mondo di Alice, da Topolino a Pinocchio, dai Sette Nani fino a Cenerentola. Al centro del regno della fantasia doveva ergersi il “carosello di Re Artù”, la giostra dei 72 cavalli bianchi, l’attrazione preferita da Walt, colei che aveva fatto nascere l’idea di questo fantastico parco.
Tomorrowland era il racconto del futuro, dove la scienza apriva le porte al pubblico. Progresso, invenzioni e scienza si univano per incuriosire la folla con attrazioni come “Autopia”, dove si potevano guidare modelli di automobili fino alla monorotaia aperta nel 1959.






Disneyland doveva essere il luogo dove ogni persona poteva essere serena e felice e infatti il pubblico veniva accolto da un personale qualificato e sorridente, felice di lavorare in quel posto così magico. Walt Disney creò la sua utopia urbanistica, dando importanza al suo brand con il paesaggio urbano e naturale, la tecnologia, la comunicazione e il trasposto di massa.








Per costruire Disneyland servirono molti sforzi economici al punto tale che Walt ipotecò tutti i suoi averi, persino l’assicurazione sulla vita. Walt era alla ricerca di buoni finanziatori, ma tutti gli sbattevano la porta in faccia perché credevano che un progetto così faraonico ed utopico potesse fallire in poche settimane. Ma Walt non demorse e pensò al nuovo mezzo, la televisione. Il piccolo schermo infatti poteva tornargli utile per finanziare la costruzione del parco. Chiese alla rete televisiva newyorkese Abc uno scambio. Walt Disney si impegnava a costruire un programma televisivo settimanale su rete nazionale e la rete gli doveva promettere di finanziargli il progetto Disneyland, sponsorizzando il parco su scala nazionale grazie al nuovo mezzo di comunicazione. Abc accettò l’offerta e investì 500.000 dollari concedendo a Disney un prestito di 4.500.000 dollari. Il programma tv “Disneyland” lo avrebbe condotto Walt in persona, introdotto dal personaggio Trilli di Peter Pan che avrebbe invogliato il telespettatore a questo nuovo mondo. Il programma consisteva in una selezione di cortometraggi inediti e non, ma soprattutto la visione di alcuni trailer sul parco tematico in via di sviluppo.






Dopo la progettazione e l’investimento, serviva un posto adeguato dove costruire il parco. L’istituto di ricerca di Stanford aiutò Disney alla scelta del luogo, 65 ettari di terreno vicino ad Anaheim potevano essere perfetti per far nascere la nuova creatura dello zio Walt. Disney imparò a leggere le planimetrie, seguendo ogni fase di costruzione, dalle strade agli edifici. Era talmente ossessionato dal suo “nuovo film in evoluzione e in movimento” che dormiva nell’edificio dei pompieri gli ultimi giorni prima dell’inaugurazione. 



Ma il giorno dell’inaugurazione era arrivato. Disneyland era pronta. Domenica 17 luglio 1955 vi fu l’inaugurazione. Per Walt il suo sogno si era avverato ancora una volta, ma era preoccupato e teso perché aveva paura che il pubblico non avrebbe capito il suo nuovo mondo. All’inaugurazione vi erano il sindaco di Anaheim, le istituzioni della contea di Orange, lo stato, la marina, la stampa e tutto il personale Disney. Quella mattina si svegliò nel suo letto provvisorio nella stazione dei pompieri e vide dalla sua finestra una folla urlante che cercava di entrare. Da qui capì che forse tutto ciò che aveva costruito ed immaginato sarebbe rimasto nella storia. 
La giornata non iniziò per il meglio, in effetti fu soprannominata la “domenica nera”, perché fu un enorme scompiglio. Il primo problema furono i parcheggi sottostimati perché i visitatori stimati dovevano essere 10.000, mentre in effetti vi furono entrate per 30.000 persone. I ristoranti rimasero senza cibo. I cestini erano pieni zeppi di rifiuti ed il grande caldo di luglio spaccò l’asfalto, mentre sul battello “Mark Twain” entrò acqua a causa del grande affollamento di persone. Walt Disney correva da una attrazione all’altra per controllare il flusso incontrollato di visitatori che si addentrava in questi nuovi mondi, seriamente preoccupato, cercava di arginare ogni cosa sorridendo e firmando autografi. La Abc con 22 camere trasmetteva in diretta l’inaugurazione presentata da un giovane Ronald Reagan, ma fu un disastro a causa dei numerosi imprevisti tra un’attrazione e l’altra.









Insomma Disneyland non aveva iniziato col piede giusto, ma come disse Walt: “Finchè c’è immaginazione nel mondo, Disneyland non sarà mai completa”. Lo show era iniziato e il parco doveva essere solo sistemato per l’apertura ufficiale. Il 18 luglio, il parco fu ufficialmente aperto al pubblico, che attendeva con ansia fuori i cancelli già da notte fonda. Disney fece in modo di correggere il tiro nelle settimane successive studiando al meglio il traffico stradale, inventandosi un carnet di ingressi per ogni attrazione, cosicché le persone non dovessero pagare ogni attrazione ogni volta. Insomma non mollò il colpo, ma verificò ogni giorno il grande funzionamento della sua nuova macchina scenica. Si inventò un’università di formazione dei dipendenti, la “Disney University” fondamentale per il training interno e fu costruito il primo hotel del parco, il “Disneyland Hotel”. Alla fine del 1955 il parco era stato visitato da un milione di persone ed erano tutti felici di aver preso parte a questa grande avventura in prima persona.







©Copyright foto Walt Disney Archives, Disneyland CA, Walt Disney Company




MyNewGreatStory: I Lava You

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“I have a dream, I hope will come true. You’re here with me and I’m here with you.
I wish that the earth, sea, the sky up above, will send me someone to Lava”
(Uku, the Dreamer)


Hawaii. Visione a volo d’uccello. Cielo limpido e verde lussureggiante. Blu oceano con gabbiani in volo tra soffi di vento. Una giovane voce piena di speranza inizia ad intonare una ballata. Un suono di ukulele l’accompagna. Inizia a prender vita una storia che dura da lungo tempo. A cantare è un vulcano di nome Uku, rimasto solo in mezzo all’oceano pacifico assieme ai suoi amici animali. Gabbiani, balene, delfini, tartarughe e persino nuvole sono innamorate l’uno dell’altro. Solo Uku è l’unico che ogni giorno desidera  l’amore. Passano i giorni e le notti e Uku pian piano senza speranza, si spegne e sprofonda sempre più verso le profondità del mare. Negli abissi dell’oceano la sua voce echeggia e viene udita da un vulcano sommerso dalle sembianze femminili di nome Lele, che incuriosita da questa melodia vuole avvicinarsi sempre più. Attraverso il suo magma sboccia letteralmente dall’acqua, ma per un gioco di vasi comunicanti questa energia porta Uku sempre più verso il pelo d’acqua, sprofondando ancor di più. Uku non riesce più a cantare, ma riesce solo a vederla di spalle. Lele intona un canto per richiamare questa voce. Con le ultime forze Uku esplode e ritrova il suo equilibrio grazie alla lava-love. Uku e Lele si fondono assieme in un’unica isola piena di amore.




“Lava”, inserito all’inizio di “Inside Out”, a suo tempo doveva aprire “The Good Dinosaur”, è diretto dal veterano Pixar, James Ford Murphy, che ci accompagna in questa particolare ballata hawaiana. Il suo grande interesse per l’isola avvenne circa 25 anni fa quando si sposò e andò alle Hawaii per la luna di miele. Si innamorò delle tradizioni, della natura tranquilla, del vulcano, ma soprattutto del suono dell’ukulele e di una canzone del film “The Wizard of Oz” (1939) di Victor Fleming, “Somewhere over the rainbow” riadattata in stile hawaiano dal cantante Israel Kamakawiwoʻole. Questa delicata interpretazione lo indusse ad acquistare un ukulele proprio 15 anni fa quando ci torno in vacanza con tutta la famiglia per imparare a suonarlo. 

L'isola delle Hawaii
Murphy e moglie nel viaggio di nozze
"The Wizard of Oz" (1939) 
Israel Kamakawiwoʻole
Murphy e il suo ukulele
Iniziò a perlustrare tutta l’isola in elicottero sorvolando il vulcano attivo della “Big Island”. Vicino alla cittadina di Hilo vide un modellino che rappresentava l’isola intera e rimase colpito da un piccolo puntino con la scritta “Lohili”. Era un vulcano molto antico sommerso dalle acque. Iniziò a balenargli nella mente un’idea. Perché non costruirne una storia d’amore con una canzone? E se questo personaggio fosse un vulcano con una sua anima e con un suo ciclo di vita come noi umani, perché non potrebbe essere ancora in cerca di un’anima gemella?


Il plastico 

Murphy fece approfondite ricerche e ritrovò uno schema geologico di come quel vulcano fosse vissuto durante i millenni. Si divertì a modificarlo, disegnandoci le espressioni del suo vulcano. I mesi successivi furono dedicati allo studio della storia e dei personaggi-luogo, un tutt’uno in questo film. I primi schizzi dei due vulcani furono disegnati su due tovaglioli di carta; in seguito il team di circa 100 persone per 7 mesi di lavorazione sviluppò la storia, migliorò i personaggi fino all’animazione per poi passare alla colonna sonora. Per costruire al meglio Uku, Murphy studiò i luoghi più importanti delle Hawaai, come Papalla Falls, Waipoo Falls, e la costa di Na Pali.




John Lasseter e Murphy


Trasse ispirazione dai cartoni animati Disney degli anni ’40 e di Chuck Jones quali “Susie the Little Blue Coupe” (1952),“Feed the Kitty” (1952) e “The Whale Who Wanted to Sing at the Met” (1946) per visualizzare le espressioni dei due vulcani. L’espressività di Marc Antonio, il bull-dog del corto Warner “Feed the Kitty” unita al volto di Jackie Gleason, l’attore americano del film “Lo spaccone” (1961) creò il volto di Uku. La più grande difficoltà fu quella di dare vita al suo volto, visto la staticità della roccia. Murphy pensò di animare individualmente ogni parte: occhi, palpebre, sopracciglia, bocca, guance e mento dovevano essere delle lastre di rocce in movimento. Mentre per Lele furono prese a modello le “hawaianas”, le ciabattine tipiche. Il resto degli animali doveva essere animato in maniera più ondeggiante e circolare rispetto alla solidità dei due vulcani.


Maquette di Uku

The Whale who wanted to sing at the Met" (1946)
"Susie the little Blue Coupe" (1952)
Marc Antony in "Feed The Kitty" (1952)
Jackie Gleason
Una delle problematiche era realizzare il movimento di camera iniziale e la scala del vulcano per renderlo imponente come racconta il regista: “Stavamo davvero cercando di creare la dimensione di queste montagne gigantesche. Abbiamo scoperto molto presto che se spostavamo la camera, che era in teoria su un elicottero, più velocemente rispetto alla velocità di un vero elicottero, le dimensioni dell’isola venivamo immediatamente ridotte. È stata una rivelazione.” Oltre al vulcano c’era da ricreare il passare del tempo così realizzarono un time-lapse che seguiva il ritmo della canzone per mostrare Uku nel suo processo da giovane e rigoglioso a vulcano spento e isolato.


L’ukulele con la sua timbrica leggera e fresca diventò l’anima dell’intero corto, proprio come fu nel corto “Boundin’” (2003) diretto da Bud Luckey dove non vi erano dialoghi. Il brano musicale fu proprio suonato dal regista, ma scelsero due voci hawaiane quali Kuana Torres Kahele e Napua Greig scelti al Nā Hōkū Hanohano Awards and Music Festival di Honolulu. Per l’Italia sono state scelte due voci molto adatte al brano, quali Giovanni Caccamo e Malika Ayane della scuderia Sugar, riadattando il brano alla nostra lingua.

"Boundin'" (2003)
Giovanni Caccamo e Malika Ayane
Anche qui come nel corto precedente, “The Blue umbrella” di Saschka Unseld è presente un fotorealismo molto marcato, sicuramente un assaggio di ciò che vedremo nel film in uscita a novembre “The Good Dinosaur”. Grazie alle evoluzioni del software edito da The Foundry, Katana, il corto ha migliorato l’aspetto di illuminazione all’interno delle scene.


“Lava”è un esperimento fin troppo tecnico, rispetto a ciò che la Pixar ci ha sempre presentato nelle storie dei suoi corti, ma è pur sempre una piccola storia con un’anima musicale e un cuore di lava.


©Le immagini sono di proprietà Disney/Pixar. Tutti i diritti riservati.




MyNewGreatStory: Inside Out: Un'Altalena di Emozioni

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“Bisogna spingerli verso quella vita forte 
che porta con sé sofferenze e gioie, 
ma che, sola, conta qualche cosa.”
(Volo di notte, Antoine de Saint-Exupéry, 1931)


Dopo il grande successo di “Monsters, inc.” (2001) e “Up” (2009), Pete Docter assieme al co-regista Ronnie Del Carmen torna sugli schermi con un film davvero incredibile ed emotivamente importante, “Inside Out”, in anteprima alla 68° mostra di Cannes e dal 16 settembre nei cinema italiani. Il film narra della storia di una famiglia del Minnesota costretta a trasferirsi in California, precisamente a San Francisco alla ricerca di nuove possibilità lavorative sulla West Coast. A farne le spese è la piccola Riley, bimba di 11 anni, gioiosa della vita che da quel giorno in poi inizia a perdere le sue piccole sicurezze nel momento più importante della sua vita: l’inizio dell’adolescenza. 





Pete Docter e il suo Team
Questo evolversi emotivo viene raccontato all’interno del quartier generale della sua mente abitato da 5 solide e colorate emozioni quali: Gioia (la leggerezza di una stella, il giallo luminescente), Rabbia (un cubetto di carbone spigoloso, il rosso acceso), Disgusto (un broccolo appuntito, il verde acido), Paura (un nervo scoperto a zig-zag, il viola melanzana) e Tristezza (una goccia piangente, il turchese). 








Gli stati emotivi sono animati da una loro grande personalità che si intreccia l’un con l’altra. Ogni ricordo di Riley è collegato ad una sfera colorata di quell’emozione provata che viene incasellata all’interno a grandi librerie della memoria. Al centro del quartier generale vi sono i ricordi base custoditi all’interno di uno scrigno e vicino ad esso vi è una consolle dei comandi azionata dalle emozioni ed un proiettore che può mostrare i vari ricordi. 








Col passare del tempo questa consolle si evolve con l’evoluzione della bambina. Ogni ricordo base alimenta la personalità di Riley che viene idealizzato con “isole mentali della personalità” come l’isola dell’hockey, il suo sport preferito, l’isola dell’amicizia, l’isola della famiglia, l’isola dell’onestà, l’isola della stupidera. Gioia unisce l’intero gruppo, essendo l’emozione iniziale in ognuno di noi. Questo equilibrio mentale viene spezzato dal trasloco e dalle mani di Tristezza che inizia spostare alcune sfere dei ricordi base, combinando scompiglio all’interno della mente. Da questo momento inizia l’avventura di Gioia e Tristezza all’interno delle isole della personalità, lasciando il quartier generale in mano solo alle altre tre emozioni incapaci di gestire la mente. 





Per narrare questa storia Docter ha raccontato la propria storia personale, di figlio che da Bloomington, Minnesota, si trasferisce in California con i genitori musicisti, unita all’inizio dell’adolescenza della figlia, come racconta: “Ero alla ricerca di nuove idee dopo “Up”. A quel tempo mia figlia aveva 11 anni ed era entrata nella fase adolescenziale. Passò dall’essere una bambina piena di energia al non voler più ascoltarci, ma soprattutto ad essere maleducata col resto della famiglia. Mi chiedevo cosa stesse succedendo nella sua testa. Da qui iniziò l’idea di immaginare i personaggi basati sulle emozioni.” 





Il team Pixar ha lavorato alacremente assieme ai consigli del Brain Trust, capeggiato da Lasseter e Catmull, per ben 4 anni per scrivere l’intero plot, ma soprattutto per sviluppare l’architettura della mente e l’evoluzione dei problemi personali in Riley. Le “isole della personalità”, nonché “i campi delle nuove idee da coltivare”, sono state la cosa più complessa da realizzare perché contribuiscono a sviluppare la parte emotiva del film in quanto influenzano gli eventi “dentro e fuori” Riley. La vita è una sorta di equilibrio di emozioni, ma soprattutto un’oscillazione di Gioia e di Tristezza, in cui si intrecciano Rabbia, Paura e Disgusto, immerse di concentrazioni e di accentuazioni mentali, in un itinerario emotivo sempre in divenire. La vita di Riley affronta sia un trasloco fisico che emotivo perché perde ogni sicurezza con se stessa, non sentendosi pronta al cambiamento, preparandosi a diventare adulta, affrontando così la complessità della vita.











Docter e Del Carmen si sono avvalsi di psicologi, neurologi e psichiatri per costruire i personaggi e per addentrarsi in un mondo tutto da scoprire quale è la mente umana. Paul Ekman, supervisore per questo film, teorico del facial-coding (micro-espressioni facciali) cui è stata tratta la serie “Lie To Me” (2009-2011), li ha aiutati a caratterizzare le diverse espressioni facciali umane in un insieme di 6 emozioni, poi ridotte a 5 da Docter; Sorpresa infatti è stata accorpata a Paura perché molto simile. Così il prof. Keltner, psicologo della University of California di Berkley li aiutò sotto l’aspetto chiave del film, incentrare il film su Tristezza, perché “la Tristezza è un’emozione che rafforza i rapporti”

Sigla della serie Tv "Lie To Me"
Come racconta Docter: “Le nostre emozioni influenzano la nostra vita sociale, ma soprattutto nelle relazioni interpersonali e grazie a ciò siamo riusciti a far interagire i personaggi. Le emozioni infatti non assomigliano ad esseri umani, ma ad ogni tipo di energia, a “ciò che sentiamo” infatti ogni emozione rilascia un’alone colorato che li enfatizza ancora di più in maniera differente l’un all’altra. Questa storia ha richiesto un sacco di fantasia e colore. Ralph Eggleston, production designer del film racconta che: “Ci siamo basati sulla parola “elettro-chimica” per la caratterizzazione dei personaggi. Dovevamo pensare a personaggi legati all’energia, eccitabili dall’energia. Ogni emozione doveva essere incandescente, con qualità effervescenti, raccolte di energia di vario tipo per ogni carattere.”

Ralph Eggleston
“Il linguaggio di questo film è basato sul colore”, come racconta Jonas Rivera, il produttore del film, “Ralph Eggleston ha avuto questa grande idea che l'interno del mondo mentale doveva essere molto saturo ed audace. Così i colori dei ricordi e dei personaggi rappresentano l’essere audaci e brillanti. Il mondo esterno è più monocromatico, ma troviamo il colore più acceso all’interno del mondo di Riley. È come l’attrazione Disney “It’s a small world” che incontra l’Apple Store. Volevamo far sentire di essere dentro la mente di un bambino, con un tocco di stravaganza da un lato e dall’altro precisa.”


all'interno dell'Apple Store 5th Avenue
all'interno di "It's a Small World"
Il design del film è una riflessione sul periodo degli anni ’50 americano in stile Broadway, caricaturizzando il design e lo stile del movimento, periodo storico che Docter aveva già adottato nei suoi due film precedenti, facendone la sua poetica, facendo parlare cerchi e quadrati. Sono stati analizzati persino i 7 nani, avendo ognuno un’analogia ben distinta con una forte caratterizzazione; ma soprattutto la cartoon-izzazione è arrivata dallo studio degli episodi animati di Tex Avery e Chuck Jones e della serie tv “The Muppets”. Ma a parer mio vi sono ispirazioni anche della serie televisiva francese “Il était une fois... la Vie” (Siamo fatti così) (1986)di Albert Barillé dedicata proprio al funzionamento del corpo umano.

Model Sheet dei 7 nani
Droopy di Tex Avery
Chuck Jones
Jim Henson e i Muppet
"Siamo fatti così"
Ad amalgamare il tutto vi è la colonna sonora scritta dal compositore più emotivo della Pixar, Michael Giacchino, già al secondo lavoro con Pete Docter dopo “Up”. Egli costruisce una composizione molto emotiva ed intima, melodie nebulose e commistioni di suoni di vetri e soffi che mappano l’intero film con 70 elementi di orchestra, un organo, chitarre e batteria passando da uno stile jazz anni ’30 all’horror classico all’interno del subconscio. Come racconta Giacchino: “Pete [Docter] voleva che la musica si dovesse percepire come se fosse uscita dai pensieri interni di Riley. Si doveva creare dunque qualche cosa di “atmosferico”. Qualcosa che non era la classica colonna sonora tradizionale. Dovevamo far trasparire l’emotività e volevo che la musica potesse mostrare il sentimento.”


“Inside Out” è un susseguirsi di gag e momenti di estrema commozione, dalle singole emozioni alle commistioni colorate, dall’avventura sul “treno del pensiero”, all’incontro del personaggio immaginario dei sogni, Bing Bong, un animale di zucchero filato, un misto tra un cane ed un elefante che canticchia una canzoncina che ti entra in testa fin da subito; alla fabbrica dei sogni, “DreamLand” cioè all’interno degli studi cinematografici per capire come vengono costruiti i sogni, con un richiamo alla Dreamworks; alla trasformazione di Gioia, Tristezza e Bing Bong nella “stanza del pensiero astratto” da personaggi 3D a forme 2D di Picassiana memoria; al clown assassino dell’inconscio che ci ricorda i film della serie “Stephen King’s It” (1990), fino ad arrivare ai titoli di coda dove si riesce persino ad osservare le emozioni di un gatto. 















Il cinema di Docter, in particolare questo film, è un viaggio di formazione dell’immaginazione, un “cinema mentale ed emotivo” come direbbe Italo Calvino, un processo artistico che è simile a quello della pratica psicoanalitica, che cerca di integrare e di tessere connessioni tra ciò che vediamo e ciò che pensiamo tipico delle menti creative che vi sono in Pixar con conoscenza, capacità espressiva e crescita individuale. 




Docter ci vuole immergere a tutto tondo nella mente spiegando tutto il suo funzionamento e la parte emotiva in azione in maniera credibile, semplice e funzionale. Ma non solo, ci vuole anche insegnare ciò che veramente siamo grazie all’immaginazione, “una pedagogia dell’immaginazione”, proprio partendo da noi stessi e da ciò che proviamo con noi stessi e con chi ci circonda. Questo grande centro nevralgico, che è la mente, è connesso alle nostre emozioni in maniera efficiente proprio come una start up o una azienda creativa come la Pixar, che è partita dal nulla e si è espansa portando sempre evoluzione e progresso in ciò che realizza. La mente umana è dunque idealizzata come una macchina che risponde a regole ben precise quasi a ricordare i disegni del medico tedesco Fritz Kahn (1888-1968), che disegnò l’interno della mente come una macchina perfetta e come luogo di sentimenti visualizzati nel recente libro “Fritz Kahn – Man Machine” (2009) edito da Taschen.




Disegno di Fritz Kahn
Persino la Disney provò a visualizzare l’interno della mente umana con un cortometraggio propagandistico della seconda guerra mondiale dal titolo “Reason and emotion” (1943) di Bill Roberts, interessante non tanto per il messaggio politico, ma per come venne illustrata la duplice natura del processo decisionale umano. La mente è infatti ritratta come due persone che lottano per il controllo, un ragioniere in giacca e cravatta ed un uomo delle caverne. 





Credo che la Pixar con questo film si sia superata sotto il profilo della narrazione, costruendo un vero e proprio saggio sul mondo più intimo che l’uomo possiede: la sua mente e la sua emotività durante la sua crescita ed evoluzione con se e con gli altri, dal di dentro (In-side) e dal di fuori (Out-side).


Le emozioni ci connettono con le persone ed è questa la cosa più importante della vita. Anche se ogni giorno abbiamo dei cortocircuiti che non ci permettono sempre di gioire di ciò che abbiamo, non dobbiamo mai demordere al raggiungimento della felicità con noi stessi. Gioia e Tristezza sono i due poli di questa storia e della nostra vita. Essi lavorano insieme ogni giorno per equilibrare su di un’altalena le nostre azioni quotidiane, dando forma ad una malinconica nostalgia di ciò che abbiamo vissuto e di ciò che tutti i giorni siamo spinti a vivere.

Tristezza e Gioia in un disegno di Pete Docter
©Le immagini sono di proprietà Disney-Pixar. Tutti i diritti riservati

MyNewGreatStory: Pixar: Design e Storie in mostra a New York

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“Fare animazione non è costruire un oggetto che abbia solo un volto con delle mani. Ma fare animazione è costruire un oggetto che si muove come se fosse realmente vivo, che pensa e quando si muove, tutti i suoi movimenti sono generati da un processo legato al suo pensiero. È il pensiero che dà l’illusione della vita ed è la vita che dà senso all’espressione. Come scrisse [Antoine de] Saint-Exupéry, “non sono gli occhi, ma il colpo d’occhio, non le labbra, ma il sorriso.”
(John Lasseter)

Cooper Hewitt Museum
La Pixar in 30 anni ha costruito storie, personaggi e mondi incredibili dai giocattoli, ai topi ai robot persino alle emozioni rafforzando sempre più la nostra empatia verso la loro grande creatività. In queste settimane a New York al Cooper Hewitt, lo Smithsonian Design Museum, si è aperta una nuova mostra dal titolo “Pixar: The Design of Story” fino al 7 agosto 2016. Attraverso gli artwork originali, dagli schizzi alle maquette, si potrà seguire lo sviluppo dei progetti Pixar che costruiscono un legame emotivo tra storia e design nel suo lungo processo di produzione filmica. La mostra si concentra sul processo formato dalla “iterazione”, cioè l’atto di ripetere un processo con l’obiettivo di avvicinarsi al risultato desiderato, alla “collaborazione” tra persona fino alla “ricerca” visiva per avere nuovi spunti e idee. Assieme a questi tre elementi che si amalgamano l’un l’altro, si uniscono i tre principi fondamentali per la progettazione di un buon film, “la storia”, “la credibilità” e “l’attrazione”. 






Questo processo può essere semplificato in questi quattro punti:
1)Fare ricerca per il vostro progetto.
Per costruire una buona storia è importante fare ricerca sugli argomenti trattati in lungo e in largo, perché grazie ad una buon ricerca il design può sempre migliorare, ma soprattutto si possono avere visioni inaspettate durante tutto il processo. Ad esempio Il gruppo di designer di “Cars” prima di iniziare a fare ricerca sulle automobili, le loro protagoniste nel film, hanno fatto un viaggio lungo la Route 66. Tutti insieme hanno vissuto la stessa esperienza dei protagonisti del film, immergendosi interamente in quei luoghi di storia americana. Ogni luogo è stato fotografato e disegnato per rivivere ogni sensazione possibile per costruire il mondo di quel film. Grazie a questa avventura di ricerca i designer sono stati in grado di capire cosa potevano provare i personaggi. 












2)Creare collaborazione nel gruppo.
La Pixar è famosa per essere un gruppo di appassionati creativi che lavora assieme per risolvere problemi, perfezionando le idee. Questa collaborazione avviene tra reparti differenti che si uniscono dalla storia al design. Per progettare ad esempio la casa di Carl in “Up” tutti i reparti hanno lavorato assieme, dagli animatori al team di ricerca agli artisti che creavano il model packet, ai tecnici. I bozzetti passavano tra le mani di tutti e ogni persona annotava e migliorava il progetto per rendere credibile quella casa.



















3)Semplificare l’idea. 
Una delle grandi strategie Pixar è la “semplicità”. Nei film di Pete Docter lo si nota molto bene: costruire personaggi geometrici per far capire allo spettatore chi si trovano davanti agli occhi. Ciò  lo possiamo notare in “Monsters inc.”, con Sullivan, un parallelepipedo e Wazowski, un cerchio, mentre in “Up” Carl è un quadrato spigoloso ed Ellie, un grazioso cerchio, e in “Inside out” le cinque emozioni hanno tutte una loro forma ben definita legata ad un carattere, un colore e una texture che li rappresenta. Grazie a questa tecnica elementare si possono creare sempre più idee e personaggi per migliorare l’azione.




4)Fare attenzione ai dettagli.
Per ottenere al massimo da una idea i designer si focalizzano su due elementi: il primo “l’attrazione" o come ottenere una connessione tra storia e pubblico, ad esempio un topo che cucina; il secondo, la “credibilità” costruire qualcosa che sia credibile all’interno dell’idea, come ad esempio il pianeta terra pieno di spazzatura in “Wall-e”. Per costruire ciò i designer devono fare attenzione ad ogni dettaglio, dai colori dei palloncini in “Up”, alle cuciture dell’abito di woody in “Toy story”, persino nei movimenti di un topo in una cucina in “Ratatouille”. Questa grande attenzione al dettaglio fa rendere il film ancora più fantastico e credibile. Pensate solo all’inizio di “Up” o di “Wall-e” che ci catapulta subito nella storia credibile, ma soprattutto convincente solo grazie alle immagini e alla musica in maniera emotiva.









Come racconta John Lasseter, a New York il 12 novembre per un masterclass, “Alla Pixar, il processo di visual design e lo sviluppo della storia sono paralleli sin dagli inizi di una produzione. Siamo molto entusiasti di lavorare con Cooper Hewitt su questa mostra, che darà al pubblico uno sguardo all'interno di una delle parte più importanti dello studio per la creazione di un film.”


In mostra si potranno ammirare la ricerca architettonica e di design per costruire la casa di Carl in “Up”, dai colorscript agli storyboard, fino allo studio sul modernismo degli anni ’60 per gli arredi de “Gli Incredibili”, alle maquette di Woody per “Toy Story”, ai model packet e ai disegni tecnici per la costruzione di Wall-e che mostrano bene il processo di iterazione sulla credibilità delle funzioni meccaniche del robot. Per far interagire il pubblico è stato messo a disposizione un tavolo multi-touch al fine di esplorare e di paragonare le 450 opere Pixar con gli oggetti correlati della collezione Cooper Hewitt. L’ultima parte è dedicata alla storia del corto più famoso della Pixar “Luxo jr.” in cui si potranno scoprire le origini del processo di design di questa famosissima lampada.















Nelle prossime settimane in uscita vi saranno alcuni volumi da non perdere proprio sul processo di storia e di design quale il volume “Funny!: Twenty-Five Years in the Pixar Story Room” edito da Chronicle Books il quale narra di quante idee vengano fuori prima di arrivare a quella giusta, al piccolo taccuino da disegno“The Animator's Sketchbook by Pixar” edito da Chronicle Books, al volume per i più giovani “Design of Story: A Pixar Design Activity Book” edito da Cooper Hewitt e Chronicle books che narra dei principi di progettazione e degli strumenti per indurre i ragazzi a costruire nuove idee creative con suggerimenti e tecniche dei creativi Pixar.




Tutti i diritti riservati sulle immagini di proprietà Disney/Pixar ©



MyNewGreatStory: To Infinity & Beyond: 20 anni di Toy Story

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“La storia e i personaggi vengono prima di tutto il resto. 
Sono loro che ci hanno guidati in ciò che abbiamo realizzato.”
(John Lasseter)


Son passati 20 anni da quel 22 novembre del 1995 in cui usciva nei cinema americani il primo lungometraggio della Pixar, Toy Story. Il film fu il vero lancio della società fondata 10 anni prima nel lontano 1986, da Ed Catmull, Alvy Ray Smith e Steve Jobs. Grazie alla direzione artistica di John Lasseter, con l’aiuto di validi storyteller quali Pete Docter,  Andrew Stanton e Joe Ranft, Toy Story aprì la strada per la prima volta ad una nuova rivoluzione nel campo dell’animazione, ampliando l’orizzonte dell’immaginazione. In questi 20 anni la Pixar ha fatto passi da gigante, ma grazie a questo film l’azienda si formò. Toy Story divenne la pietra miliare, come per la Walt Disney lo fu Biancaneve e i sette nani (1937) perché riuniva in un unico film tutta l’arte e la tecnologia fino ad ora conosciuta con uno stile grafico innovativo.


Come racconta John Lasseter in una intervista durante l’uscita del film: “Lavorare a Toy Story è stato bello, perché per noi si trattava di prendere una tecnica che avevamo usato pochissimo, in cortometraggi e spot televisivi, e farne un film di 75 minuti. A un tratto ci dicemmo: “Un momento, è un’impresa più ardua del previsto.” Da questa esperienza abbiamo imparato molto. L’insegnamento più grande è stato fidarci del nostro istinto e di fare i film come li vogliamo.” 


Siamo nel 1990 e alla Pixar tutti avevano un chiodo fisso da un po’ di tempo: costruire il primo lungometraggio d’animazione in computer grafica. Non riuscivano a togliersi dalla testa questa idea. Ma la ricerca e lo sviluppo all’interno della società stava costando molte liquidità a Steve Jobs, che perse più di un milione di dollari all’anno per 5 anni. In questo momento di stasi e di difficoltà, Lasseter propose di realizzare uno speciale televisivo per le festività natalizie della durata di mezz’ora basato sul cortometraggio Tin Toy (1989) vincitore di un premio Oscar. “Tin Toy”  ispirò l’idea di costruire un film sull’amicizia tra due giocattoli che prendevano vita raccontandola dal loro punto di vista in un mondo tridimensionale. Nell’idea originaria di Toy Story, Tinny, il giocattolo di latta, veniva accidentalmente dimenticato in un autogrill e faceva amicizia con un vecchio pupazzo da ventriloquo. Insieme trovavano un paradiso dei giocattoli in un asilo d’infanzia dove nessuno li poteva perdere o mettere da parte. Ma Tinny non funzionava perché era un giocattolo che richiamava poco la modernità dei tempi. Bisognava progettare un giocattolo più tecnologico. Così costruirono l’astroboy Lunar Lerry, più tardi chiamato Tempest from Morph, per poi diventare, richiamando il nome di un vero astronauta, Buzz Lightyear da unire al cowboy di pezza Woody Pride.
















Nel luglio del 1991 Lasseter andò a presentare alla Disney il progetto iniziale di Tin Toy, ma gli offrirono una possibilità maggiore: realizzare quel sogno, poter creare il primo film animato al computer della storia chiamato Toy Story. Era l’inizio di una nuova era per Lasseter, come racconta: “Ricordo che vennero da me e ci dissero: ‘Facciamo un film!’. Veramente?! Ce l’abbiamo fatta. Era successo! O mio Dio, stiamo veramente per fare questo film. Ero così eccitato.” Lo studio e tutto il team era riuscito ad avere il miglior partner per costruire il loro primo lungometraggio, la Disney. Era un’occasione da non perdere per iniziare una collaborazione fortunata con la più grande major d’animazione. 


Così iniziarono a pensare allo sviluppo dei personaggi. Per creare Woody il cowboy americano, Lasseter pensò ad un attore particolare, Tom Hanks il quale ricorda: “Non hanno fatto altro che prendere una mia battuta di “Turner e il casinaro", un film che avevo fatto per la Disney, e realizzare un frammento di animazione al computer in cui Woody la ripeteva. E in quel frammento Woody era completamente isterico. Batteva i pugni dappertutto, cadeva in ginocchio, batteva i pugni per terra, era assolutamente incredibile. Era perfetto. Se fossi andato li e avessi visto qualcosa che non avesse avuto senso non so se avrei fatto il film, ma ho visto Woody che parlava come me ed era perfettamente logico.”




Ma in Disney volevano comandare l’intero progetto. Avevano il desiderio di spingere l’intera storia al limite, renderlo un cartone animato per adulti. Il primo fra tutti fu Jeffrey Katzenberg, all’epoca nel consiglio di amministrazione degli studi Disney, dove si recava alle riunioni con gli sceneggiatori chiedendo di costruire una storia oltre il lecito, con grande incisività, per nulla appartenente ai canoni Disney. Woody giorno per giorno, divenne antipatico persino a chi costruiva le scene e le animava.

Roy E. Disney e Jeffrey Katzenberg
Ma in Pixar tutti dovevano compiacere tutti, tenendo conto di ogni nota e suggerimento che arrivava dalla Disney ed erano solo in fase di preproduzione nel primo anno di lavorazione. Nel dicembre 1993 il gruppo creativo Pixar composto da John Lasseter, Andrew Stanton, Pete Docter e Joe Ranft volò agli studi Disney di Burbank per presentare lo storyboard completo. Da questo momento in poi la Disney doveva approvare la fase successiva, la produzione del film, ma le cose non andarono proprio per il verso giusto. La storia non reggeva, non emozionava e né tantomeno commuoveva. L’errore più grave fu il character design, l’arma vincente in Pixar fino a quel punto. Lo storyboard su vhs durava un paio d’ore, ma come ricordano in Disney, era interminabile, poco credibile e noioso nell’azione scenica. Così da quel momento la Disney decise di fermare la produzione. Alla Pixar se lo ricordano tutti quel giorno funesto, il “black friday”. Il personaggio Woody era un pupazzo da ventriloquo, repellente, arrogante e saccente, un concentrato di humor e disonestà. Un carattere molto negativo. Giunti a quel punto i produttori risposero che non era il film che la Pixar voleva fare e che Lasseter aveva in testa. Così la Disney, dopo la chiusura forzata della produzione, voleva licenziare l’intero team, ma alla Pixar si rifiutarono. Negli studi pensarono ad una tattica di contrattacco: quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare, come ricorda Lasseter: “Dateci due settimane e lo rimetteremo in sesto.” 







Pensarono ad una storia divertente, sincera ed emotiva, un progetto di collaborazione collettiva senza ascoltare le annotazioni dei manager Disney. L’intero team creativo si affidò all’istinto e, anche se il tempo, non era dalla loro parte ed era l’ultima possibilità con Disney, erano più carichi e rivitalizzati di prima. La Pixar stava costruendo il film che voleva fare, non quello che gli imponevano di fare. Così rifecero interamente gli storyboard a pieno ritmo, confezionando il nuovo storyboard animato in 3 settimane, un tempo da record. Il team creativo Pixar ritornò in Disney, dove erano già pronti a chiudere la produzione, ma videro il nuovo prodotto e dissero che era buono, mostrando potenziale in ciò che Toy Story poteva diventare. Così diedero il via libera alla produzione. In Pixar si risollevarono gli animi, ripartendo da quella nuova storia costruita interamente da loro senza interferenze esterne. Come ricorda Lasseter: “Mi rivolsi ai ragazzi e dissi: “Facciamo il film come lo vogliamo noi.” Lavorammo giorno e notte io, Andrew, Pete e Joe, gli autori, il team editoriale. Seguimmo il nostro istinto al 100%. Ci aiutavamo l’un l’altro. Era come se le nostre menti lavorassero all’unisono. Iniziammo a fare bozze approssimative, tanto poi le rivedevamo insieme e ci venivano altre idee. Avevamo le idee chiare. Usavamo i post-it. Sapevamo cosa avevamo davanti. Una cosa a cui tenevo molto, dopo la proiezione del “black friday”, era rendere Woody più simpatico. Il nostro scopo era rendere Woody così simpatico che quando iniziava a fare l’idiota l’istinto era dire: “Woody, non fare così”, anziché: “Questo è proprio idiota. Non m’importa di lui.” 










Nessuno prima d’ora aveva mai fatto un film di questo genere, così il team si pose l’obiettivo di costruire il nuovo processo d’animazione per un lungometraggio in computer grafica, per rendere lo studio al massimo della produttività in maniera collaborativa. La grande sfida di Toy Story era quella di costruire un racconto armonico, divertente e gestire azioni con molti personaggi ed ambientazioni. La storia doveva guidare tutto il team come ci spiega Lasseter: “Ogni fotogramma di quella storia era nella mia testa: mentre lavoravo con i designer, con i modellatori, con il reparto layout, con gli animatori, non facevo che parlare della storia e spiegare a tutti come si doveva inserire nell’insieme generale”. Così, oltre a Tom Hanks, per doppiare l’altro protagonista del film, Buzz Lightyear, reclutarono anche Tim Allen: entrambi erano esaltati all’idea di fare un film d’animazione di quell’importanza. Per creare questo mondo nessun oggetto doveva mancare di una propria personalità. Una stanza di un bambino, infatti, doveva essere un mix di giocattoli, grandi e piccoli, con oggetti sparsi nell’ordine mentale di un bambino. Il concetto base dell’intero film era far prendere vita ai giocattoli, nel momento in cui gli umani non erano in casa. Tutto stava nella qualità dell’azione e dei movimenti che rendeva realistica la scena. 




L’intento di Lasseter era quello di narrare la vita di un piccolo micromondo urbano, un melting pot di oggetti che prendevano vita. Il tema principale era quello di predisporre il pubblico a credere nei propri giocattoli, cioè a credere alla propria fantasia. Così il reparto creativo iniziò per la prima volta a studiare le differenti tipologie di plastiche colorate, dalle dimensioni alle forme, costruendo una vera e propria comunità di giocattoli come se costruissero la vita quotidiana di ognuno di noi. “Ogni oggetto fabbricato dall’uomo è creato per una ragione, e la ragione dei giocattoli è far felici i bambini”,come ci ricorda Lasseter. E così fa Pixar con i suoi film: rende felice il pubblico. Lasseter voleva immergere lo spettatore in un mondo di coesione tra umani e giocattoli che avessero una propria emotività e relazione. Questo fu il primo punto di contatto con gli spettatori. Il team di creativi costruì un legame molto forte tra Woody e il piccolo Andy, il collante fondamentale nel film, quale l’amicizia, altrimenti il pubblico non si sarebbe interessato alle azioni complementari e successive. Altro elemento fu la relazione fra i due protagonisti, Buzz e Woody, all’inizio visti come due antagonisti, per poi, attraverso gli eventi, farli diventare amici. Woody ha bisogno di imparare una lezione lungo tutta l’azione filmica, mentre Buzz ha bisogno di imparare che è solo un giocattolo e deve relazionarsi assieme agli altri giocattoli. L’uno ha bisogno dell’altro.






Ogni creatura animata, dagli umani agli animali, a ogni tipo di giocattolo, fu costruito in 3D con l’aiuto di un modello reale in argilla che potesse muoversi e prender vita. Come ci racconta il ricercatore e modellatore Even Ostby: “Le cose che sono rettilinee e geometriche possono essere facili e veloci da modellare visto che esistono già nei software. Ma i modelli che hanno una pelle, che vivono in un mondo reale, sono forme più complesse e le sculture di argilla ci facilitavano il lavoro per capire le complessità, dalle deformazioni alle espressioni, dalle muscolature alla flessibilità”. Così gli scultori attraverso una penna digitale potevano ridigitalizzare le coordinate dei punti della scultura per poi portarli in uno spazio tridimensionale. “Tutti i computer potevano registrare le coordinate che si stabilivano, ma era il modellatore a decidere il punto di vista, la superficie in termini matematici”, come ricorda il tecnico Bill Reeves. L’animatore aveva delle variabili su cui lavorare per le articolazioni e altre parti del modello come le labbra, le pupille, le braccia, le gambe, come un burattinaio che muove i fili della marionetta. Non è un caso che il software di animazione interno alla Pixar si chiami “Marionette”. Come racconta Catmull: “L’animatore conosceva l’arte di far vivere le cose. Ma c’erano anche persone che conoscevano l’arte di costruire i modelli. Chi li costruiva sapeva quale fosse la giusta luce, la miglior superficie, i capelli o che aspetto avesse la trapunta del letto dove potessero rimbalzare i giocattoli”. Artisti e tecnici lavoravano fianco a fianco per collaborare e costruire al meglio le varie sequenze, assieme ai computer che processavano 24 ore al giorno 7 giorni su 7, per tre mesi di fila. Fu un progetto ambizioso e complicato. L’intero team costruì 76 personaggi e 366 oggetti creati in computer grafica, per un totale di circa 1560 inquadrature. 100 persone lavorarono per realizzare 25.000 storyboard e 2000 modellini. Il rendering fu effettuato utilizzando 117 computer per un totale di 800.000 ore di impegno-macchina necessarie per l’elaborazione complessiva di 1000 Gigabytes (un trilione di bytes) di informazioni.












Dopo 4 anni di lavoro, Toy Story uscì negli Stati Uniti arrivando ad incassare più di 350 milioni di dollari in tutto il mondo, fondando la nuova industria d’animazione digitale. Il film era adorato dai bambini, dalle famiglie, dai critici, e da tutto lo show-business di Hollywood. Tutti i quotidiani lo recensirono positivamente definendolo appassionante, con un gran cuore e con personaggi emotivi, facendo capire così al mondo, che la Pixar era uno studio affidabile e dal gran livello qualitativo. Per questo l’Academy of Motion Picture consegnò a Lasseter l’Oscar speciale per il primo lungometraggio animato al computer (link) (link 2).









Steve Jobs e John Lasseter in quei giorni parteciparono al talk show “Charlie Rose Show” sottolineando che Toy Story era un film Pixar, come ricorda Jobs: “Dai tempi di ‘Biancaneve e i sette nani’, ogni grande studio cinematografico ha tentato di entrare nel mondo dell’animazione, ma finora la Disney era l’unica ad aver prodotto un film d’animazione blockbuster: la Pixar è adesso diventata il secondo studio a riuscirci.” (link)


Da questo grande successo la Pixar Animation Studios iniziò a scalare le vette del successo e dell’immaginazione unendo la collaborazione creativa tra arte nostalgica e passata, come il cowboy di pezza Woody, e la tagliente tecnologia rappresentata dall’uomo del futuro, Buzz Lightyear.


© Le immagini sono di proprietà Disney/Pixar. Tutti i diritti sono riservati.

MyNewGreatStory: La Creatività Pixar: 30 anni di animazione digitale

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“Ho sempre creduto che per rendere grande un film d'animazione, si dovessero fare tre cose: 
raccontare una storia avvincente che possa tenere incollate le persone alle sedie, 
popolare la storia di personaggi memorabili e interessanti, 
costruire un mondo credibile, unendo storia coinvolgente e personaggi indimenticabili. 
Se si possono fare queste tre cose veramente bene, 
allora il pubblico sarà totalmente immerso in questa avventura.”

(John Lasseter)

Ebbene si, anche la Pixar si è fatta adulta. 30 anni di creatività digitale in movimento costruiti sulla straordinaria abilità dei suoi artisti, tra disegni a matita e pixel colorati. In questi 30 anni i nostri occhi si sono imbevuti di emozioni, sogni e storie travolgenti. Sono proprio le storie a vigilare su tutte le fasi del processo creativo pixariano, laddove la tecnologia è piuttosto un mezzo per sostenere il valore della creatività umana, non la padrona di casa. Il mezzo animato analizza nel profondo la realtà e la nostra coscienza collettiva in un incredibile mash-up visivo di arte e tecnologia: storie di amicizia tra giocattoli, di animali e automobili parlanti, di supereroi e anziani in crisi con se stessi, di robot salvatori dell’umanità, fino a vivere in prima persona le emozioni di una bambina di 11 anni.




Era il 3 febbraio 1986 quando Steve Jobs fondava gli studi Pixar dall'acquisizione della divisione computer della Lucasfilm, capitanata dagli ingegneri Ed Catmull e Alvy Ray Smith. Da qui prese il largo la grande rivoluzione digitale animata guidata dal direttore creativo John Lasseter e dai registi e storyteller Pete Docter, Andrew Stanton, Joe Ranft e Brad Bird, diplomati alla prestigiosa California Art Institute di Los Angeles. Nel 1995 il primo lungometraggio Toy Story ci immerge nella nuova dimensione della “computer grafica per il cinema”, il nuovo stile di fare animazione che avevamo assaggiato nel 1982 con il Tron della Disney. 




È l’eredità di lungo corso della Bay Area (California) che negli anni '40 aveva accolto le prime sperimentazioni visivo-cinetiche europee di Fischinger, Ruttman e Richter nel festival “Art in Cinema”, per poi dare i natali negli anni ’60 ai primi computer e segnare la svolta verso una nuova arte chiamata “computer art”: un cinema espanso, astratto ed ipnotico di artisti quali Jordan Belson, Charles Csuri, Stan Vanderbeek, Lillian Schwartz, i fratelli Whitney, Larry Cuba e Robert Abel. Sarà George Lucas verso la fine degli anni ’70 ad orientare l’utilizzo del computer per evolvere l’industria degli effetti speciali con la nuova tecnica di ripresa “motion control”, inaugurata da Guerre stellari (1977).








L'arrivo di Ed Catmull e Alvy Ray Smith - ricercatori software presso il New York Institute of Technology - alla neo-fondata divisione computer della Lucasfilm pone le basi del mondo dell'animazione come lo conosciamo oggi. A partire dalla pietra miliare che fu il Pixar Image Computer, utilizzato per la realizzazione di alcune evoluzioni spaziali in Star Trek II - L’Ira di Khan (1982) e del cavaliere di vetro in Piramide di Paura (1985). E poi i molti software: REYES, per la renderizzazione (padre dell’attuale Renderman), Marionette per l'animazione (l’attuale Presto), e CAPS - Computer Animation Production System, software di inchiostrazione, pittura e composizione che fece evolvere la Disney in un nuovo “rinascimento” negli anni ’90.















Il licenziamento di John Lasseter dalla Disney fu la fortuna della divisione computer. Lasseter, talentuoso storyteller, dopo aver sperimentato con l’amico Glen Keane la commistione di personaggi animati tradizionalmente a sfondi realizzati al computer in Where the wild things are, iniziò nella sua nuova casa a cimentarsi in piccole avventure animate per l’annuale conferenza sulla computer grafica, il SIGGRAPH. Dalla sua mente creativa vennero fuori personaggi emotivi modellati su solidi semplici: dall’androide infastidito da un’ape colorata nel corto The Adventures of Andrè and Wally B. (1984), alla relazione tra padre e figlio lampada in Luxo Jr. (1986), al triciclo sognatore in Red’s Dream (1987), all’impaurito one-man-band Tin Toy (1988), al pupazzo di neve giocherellone in Knick Knack (1989).












Steve Jobs fu lungimirante al pari di Walt Disney costruendo un nuovo impero dell’animazione per poi farsi acquisire dalla Disney stessa nel maggio 2006 in un periodo di crisi nera per la major di Topolino grazie all’attuale CEO Bob Iger. La Pixar doveva essere ricordata dal pubblico di generazione in generazione, raggiungendo ogni volta obiettivi inaspettati. Da San Rafael a Point Richmond fino al nuovo campus su misura di Emeryville, così Steve Jobs assieme a Peter Bohlin, l’architetto degli Apple Store, costruì il nuovo incubatore in un ex-zuccherificio non lontano da San Francisco. I creativi al loro interno potranno vivere in armonia tra di loro instaurando rapporti casuali per aumentare le loro possibilità creative. Avranno la possibilità di imparare nuove tecniche o corsi di cinema grazie alla Pixar University (ricordando il modello Disney-Graham alla fine degli anni ’30), assaggiare diversi cibi al Luxo Cafè o fare sport di gruppo, camminare all’aria aperta tra la natura o rifugiarsi in alcune salette cinema per rivedere gli stadi di avanzamento del film. Questa fu la nuova cultura jobsiana in Pixar: creatività collettiva inserita in un luogo amico, per far evolvere il vero motore dello studio, cioè le persone. L’importante è motivarli continuamente a spingersi sempre oltre le loro possibilità, rendendo la creatività un’alchimia di artisti e ingegneri. In aiuto al processo creativo vi è la struttura del “braintrust", un gruppo di veterani della Pixar che valuta ogni mese i progetti e aiuta i registi a tirar fuori i dubbi o le incertezze in maniera socratica senza dare ordini, ma dando dei suggerimenti per procedere nel processo creativo.















La Pixar anno dopo anno ha ampliato la sua poetica “real-espressionista”, inserendo il lato emotivo della realtà. Il reparto dello storytelling crea storie aggiungendo e sottraendo tasselli per mostrarci le piccole cose della vita, la poesia di una sguardo, l’avventura e la libertà del mondo che ci circonda, la casualità e l’intuito, la forza dell’amicizia, ciò che siamo e ciò che vorremmo diventare. È qui che si racchiude la potenza delle storie Pixar. Un inizio, uno svolgimento ed una fine che viene elaborato in un processo iterativo in maniera parallela e orizzontale tra sceneggiatori, story artist, registi, scultori, disegnatori 2d e 3d, editor e compositori musicali che si amalgamano l’un l’altro per infondere l’emotività, radice di ogni cosa nella società umana. L’imperativo è la collaborazione continua. Non importa chi ha l’idea migliore, ma esiste un continuo scambio tra reparti in una vera e propria atmosfera da college americano come in Monsters University. 

















Oggi dopo 30 anni e 16 lungometraggi in attivo (in arrivo Finding Dory), la Pixar è una realtà sorprendente e consolidata capace di parlare al suo pubblico, che non sono i più piccoli, ma la totalità delle persone, utilizzando un linguaggio cinematografico, giocando con i generi, dal buddy movie in Toy Story, alle avventure tra supereroi ne Gli Incredibili, alla brillante commedia francese in Ratatouille, alla fantascienza apocalittica in WALL·E, all’avventura miyazakiana in Up. Questi sono i meriti che hanno permesso alla casa di animazione di Emeryville di essere sul podio più alto rispetto ai suoi competitor (Dreamworks Animation, Blue Sky Studio, Sony Pictures Animation) e in maniera differente rispetto alla sua casa madre Disney. Sicuramente il futuro della Pixar sarà pieno di sorprese e di nuove rappresentazioni digitali per renderci persone curiose come una lente di ingrandimento fa davanti alle piccole ed incredibili cose della vita, ampliando l’orizzonte del nostro immaginario creativo.


Tutte le immagini sono di proprietà Disney/Pixar, All rights reserved©




MyNewGreatStory: The Creativity of Pixar, 30 years of digital animation

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written by Pietro Grandi


Every movie has three things you have to do; you have to have a compelling story that keeps people on the edge of their seats, you have to populate that story with memorable and appealing characters and you have to put that story and those characters in a believable world. Those three things are so vitally important [to make people believe in the adventure you're going to make them live].
John Lasseter 

Well yes, even Pixar has grown up. 30 years of digital creativity, still on the run, built on the amazing skills of its artists, between pencil drawings and colorful pixels. In these 30 years our eyes were immersed in emotions, dreams and overwhelming stories. It's these stories that oversee every single phase of Pixar's creative process, where the technology is more of a mean for supporting the value of human creativity, instead of a landlord.
The animated tool analyses in the deep the reality and our collective conscious  in an incredible visual mash-up of art and technology; stories of friendship between talking toys, animals and cars, of superheroes and elderly in crisis with themselves, of robots saviors of humanity, until living, in first person, the emotions of an eleven-years-old girl.




It was February the 3rd, 1986, when Steve Jobs funded the Pixar studios from the acquisition of Lucasfilm's Computer Division, captained by the engineers Ed Catmull and Alvy Ray Smith. From that moment the great digital revolution set sail, guided by the Chief Creative Officer John Lasseter, and by the directors and storytellers Pete Docter, Andrew Stanton, Joe Ranft, and Brad Bird, graduates from the prestigious California Institute of the Arts in Los Angeles.
In 1995, their first feature, Toy Story, transported us into the new dimension of the industry of computer graphic for feature films, the new style of animation that we tasted before in 1982 with Disney's Tron.




It's the legacy of a long history of the Bay Area, that in the 40s had welcomed the first european visual-kinetic experimentation of Fischinger, Ruttman and Richter in the festival “Art in Cinema”, followed then by the birth, in the 60s, of the first computers, to mark the turning point of a new art, the computer art: an expanded cinema, abstract and hypnotic, of artists like Jordan Belson, Charles Csuri, Stan Vanderbeek, Lillian Schwartz, the Whitney brothers, Larry Cuba and Robert Abel. At the end of 70s, George Lucas will orientate the use of the computer to evolve the industry of the visual effects with the motion control, a new camera technique, used in Star Wars (1977).








The coming of Ed Catmull and Alvy Ray Smith, researchers from the New York Institute of Technology, to the newborn Computer Division at Lucasfilm, lays the foundation for the world of animation like we know it today. From a true milestone, the Pixar Image Computer, used to create an evolution of a planet in Star Trek II: The Wrath of Khan (1982) and the stained-glass man from Young Sherlock Holmes (1985), and then, the many softwares: REYES, for rendering (father of the current Renderman), Marionette for animation (the current Presto), and CAPS - Computer Animation Production System, a software made for inking, painting and composition, that made Disney evolve in a new renaissance in the 90s.















The John Lassiter's dismissal from Disney made the fortune of the Computer Division. Lasseter, talented storyteller, after experimenting with his friend Glen Keane the commingling of characters traditionally animated with backgrounds entirely on CGI in Where the Wild Things Are (1983), began in his new home approaching to little animated adventures for the annual conference on computer graphic, the SIGGRAPH. From his creative mind came out emotional characters modeled on simple solid figures: from the android annoyed by a colorful bee in the short The Adventures of Andrè and Wally B. (1984), to the relationship between father lamp and son lamp in Luxo Jr. (1986), and from the dreamer tricycle in Red’s Dream (1987), to the scared one-man-band Tin Toy (1988), and, not forgetting, the playful snowman in Knick Knack (1989).












Steve Jobs was farsighted as Walt Disney, building a new empire of animation, and then selling Pixar to Disney itself in May 2006 thanks to the current CEO, Bob Iger, that resurrected the Disney company from a dark period. Jobs thought that Pixar had to be remembered from generation to generation, reaching with every step unexpected aims. From San Rafael to Point Richmond, until the new campus, tailored on Emeryville; that's how Steve Jobs, together with Peter Bohlin, architect of the Apple Store, built the new incubator in an old sugar factory not far from San Francisco. The creative people, inside, can live in harmony with each other, establishing casual relationships to increase their creative possibilities. They have the possibility to learn new technologies or film studies thanks to Pixar University (that remembers the Disney-Graham model at the end of the 30s), tasting different food at the Luxo Cafè, or playing team sports, walking in the open air surrounded by nature, or taking shelter in little lounges to watch again the progress stages of their films. This was the new Jobsian culture in Pixar: collective creativity in a friendly place, to make the engine of the studios, that is the people, evolve. The important is to continuously motivate them, to make them reach beyond their possibility, transforming the creativity in an alchemy of artists and engineerings. In help of the creative process there's the structure of the braintrust, a group of Pixar veterans that examines every month the projects of the studios, helping directors to pull out doubts or uncertainties in a Socratic method, without giving them orders, but instead suggesting them how to proceed in the creative process.















Pixar, year after year, has expanded its poetic of "painterly realism", pointing out the emotional side of reality. The storytelling department creates stories adding and subtracting dowels to show us the little things of life, the poetry in a glance, the adventure and the freedom of the world that surrounds us, the fortuity and the insight, the strength of friendship, who we are and who we want to be.
That's the power of the Pixar stories. A beginning, an execution, and an end that are processed in an iterative process, conveyed in a parallel and horizontal way between screenwriters, story artists, directors, sculptors, traditional and CGI drawings, editors and music composers that amalgamate each other to instill the emotivity, that is rooted in every aspect of the human society. The imperative is a continuous collaboration. It doesn't matter who has the better idea, but it exists in a continuos exchange in a true own atmosphere, just like the college in Monsters University.

















Today, after 30 years and 16 feature-lenght films released (with Finding Dory coming soon), Pixar is a surprising and consolidated reality, able to speak at their audiences, that aren't just the little ones, but the totality of people, using a cinematic language and playing with different genres, from the buddy comedy in Toy Story, to the superheroes adventures in The Incredibles, to the brilliant french comedy in Ratatouille, to the apocalyptic science-fiction in WALL·E, to the Miyazakian adventures in Up. These are the merits that have allowed to the house of animation based in Emeryville, to be on the highest podium among its competitors (Dreamworks Animation, Blue Sky Studios, Sony Pictures Animation) and using a different storytelling method compared to its parent, Disney Animation.
Certainly, Pixar's future looks full of surprises and new digital representations, to make us understand our nature as curious people, just like a magnifying glass does with the little and incredible things of life, amplifying the horizon of our creative imagination.


All images belong to Disney/Pixar, All rights reserved©

Read an Exclusive Interview with Alvy Ray Smith, a Pixel's Pioneer.

Per l'articolo in lingua originale, cliccare qui.

MyNewGreatStory: La Pittura digitale agli albori della Pixar

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“It works!.”
(Richard “Dick” Shoup)

Dipingere significa rappresentare attraverso linee, colori e forme ciò che vediamo con i nostri occhi. Immersi nel mondo digitale possiamo disegnare con nuovi mezzi, col mouse o la tavola grafica o con il nostro dito su di un tablet. Tutto ciò è possibile grazie ai software di pittura e foto-ritocco che processano il nostro gesto in tanti pixel all’interno di una griglia o in solidi geometrici vettoriali.


Questa ricerca per simulare il tratto, per colorare o per modificare un’immagine risale agli anni della rivoluzione digitale in California. Richard “Dick” Shoup, fu tra i primi a rivoluzionare il campo del video digitale. Iniziò il suo percorso al PARC, il centro ricerca Xerox di Palo Alto, dove nacquero il mouse, le interfacce a finestra, l’ethernet, e molti altri strumenti che oggi utilizziamo con il computer. 

Xerox Alto




Nell’aprile del 1973, durante il debutto del primo prototipo di Xerox Alto, Shoup sviluppò nel suo ufficio nuove tecniche per il video digitale. Seduto di fronte ad una video camera in bianco e nero, collegata ad un mini-computer di laboratorio, registrò il primo video digitale creando un semplice frame buffer, cioè una memoria all’interno della scheda video dove venivano immagazzinate le informazioni per rappresentare un fotogramma sullo schermo. All’interno di questo frame buffer erano contenute le informazioni sul colore di ciascun punto dello schermo, in questo caso in bianco e nero. In seguito ampliò il suo frame buffer per la gestione del colore e registrare video da qualsiasi sorgente come il laserdisc o il VHS. Il computer, una volta memorizzato il video nel frame buffer, poteva essere comandato da un programma di editing d’immagine, chiamato “SuperPaint”.

Dick Shoup
SuperPaint 
Il Framebuffer
“SuperPaint” fu rivoluzionario, semplice e intuitivo, dotato di un'interfaccia grafica con una mappatura colore di 256 colori selezionabili, una tavolozza di pennelli a dimensioni variabili, trasformazione immagine, file di input e output e la possibilità di utilizzare una tavola grafica con una penna. Insomma ciò che troviamo oggi nei programmi di disegno digitale. Purtroppo, Bob Taylor, capo dei ricercatori informatici al PARC, pur vedendo le grandi potenzialità di questo programma, non ebbe intenzione di integrarlo nello Xerox Alto, il computer da ufficio della Xerox, visto che la visione d’azienda era quella di costruire computer integrati per l’ufficio assieme a stampanti laser e server che mandassero e ricevessero email grazie alle reti ethernet Altos. “SuperPaint” non poté dunque rientrare in questa idea perché il mercato dell’editing digitale non era ancora sviluppato ed il computer era solo visto come un business da vendere per migliorare la vita degli impiegati all’interno degli uffici.





Nel 1974 Shoup continuò lo stesso ad ottimizzare il suo nuovo sistema pur non avendo grandi sostenitori, fino all’arrivo di un brillante giovane matematico, Alvy Ray Smith. Laureato con una tesi sulla teoria degli automi, professore associato alla New York University, dopo un incidente sugli sci, Smith si spostò in California per trovare una cattedra di insegnamento a Berkley. Fu invitato dall’amico Shoup nel PARC per mostrargli i suoi nuovi sviluppi con la pittura digitale. Smith rimase sconcertato e allibito dall’abilità di creare immagini digitali a colori con un computer. Pensò dunque di aiutare Shoup. L’apporto di Smith fu quello di aggiungere all’RGB (Red, Green, Blue) il canale HSB (Hue, Saturation, Brightness). Il programma (link) prima di questa integrazione, creava colore mescolando il rosso, il verde ed il blu come un televisore di casa. Con questa trasformazione l’artista poté avere una tavolozza colori ancora più ampia. 

Alvy Ray Smith 

Smith creò un video animato dal titolo “Vidbits” (link), una collezione di esperimenti artistici utilizzando l’intera gamma di 256 colori (8 bit per pixel). L’animazione fu ottenuta registrando il programma su una videocassetta, costruendo le animazioni in tempo reale. Alcune animazioni invece furono realizzate frame by frame, registrate su laserdisc e poi trasferite su videocassetta. Per realizzare un personaggio che camminava all’interno di uno spazio virtuale, prese spunto dal libro “Advanced Animation” (1947) di Preston Blair, l’animatore Disney che animò gli ippopotami e gli alligatori ne “La Danza delle Ore” in Fantasia (1940). L’amico Dell Washington contribuì invece a digitalizzare la sua faccia per alcuni esperimenti. Per dare pathos a questo esperimento visivo utilizzò il brano musicale “The Planets” di Gustav Holst senza sincronizzarlo con le immagini. Questo video portò fortuna ad Alvy Ray Smith perché entrò a far parte dell’avanguardia artistica della video art newyorkese a metà degli anni ’70.






Shoup sempre nello stesso anno creò assieme al futuro socio Damon Rarey alcune animazioni per la serie televisiva della PBS “Over Easy”. Ma poco dopo la Xerox smantellò tutto il suo lavoro e sia Shoup che Smith dovettero trovarsi un nuovo lavoro. Shoup nel 1978, trasportò l’intero sistema, nel centro ricerche NASA di Mountain View costruendo alcune animazioni che illustravano la missione pionieristica su Venere per il programma TV della NASA. Nel 1979 Shoup fondò una nuova azienda chiamata “Aurora Systems”, un nuovo sistema per grafica e animazione chiamato "Aurora/100". 





Aurora/100
Smith nel 1975 cominciò a cercare un altro sbocco per le sue nuove idee nel campo digitale. Si informò dai suoi ex colleghi che nel 1974, un certo Jim Blinn, nella comunità informatica della University of Utah, inventò un nuovo sistema di painting a 8 bit con un frame buffer della Evans and Sutherland. Smith era interessato a quel frame buffer, il componente principale dei suoi studi di painting, ma l’università gli comunicò che era stato tutto smantellato e venduto ad un milionario di New York, Alexander Schure, colui che gli avrebbe nuovamente cambiato la vita, fondando il nuovo dipartimento tecnologico informatico di New York, l’NYIT.

Jim Blinn
Alexander Schure
NYIT
Smith all’’NYIT conobbe Ed Catmull, il quale scrisse nel 1979 grazie ad un computer PDP-11 il programma di animazione “TWEEN” che generava e manipolava forme e personaggi, utile per la gestione degli in-between (le intercalazioni). In ogni momento l’artista poteva rivedere gli in-between, modificandoli con una penna grafica.

Ed Catmull

Animazione realizzata col software "TWEEN"
Tra il 1975 e il 1976 Smith creò assieme all’amico David DiFrancesco un nuovo sistema a 8 bit chiamato “Paint" grazie ad un frame buffer della ditta Evans & Sutherland successivamente chiamato “BigPaint” in seguito “Paint3". Fu il primo sistema di pittura digitale ad avere 16,7 milioni di colori a 24 bit. Questo permise l’utilizzo di un aerografo e di sormontare più di una immagine inclusa la trasparenza. Oltre a questo nelle versioni successive si poté variare l’opacità del pennello e il mescolamento dei colori. Fu poi venduto alla AMPEX nel 1976.


David DiFrancesco
Nel 1979 Alvy Ray Smith utilizzò il suo programma “Paint" assieme all’artista Ed Emshwiller per realizzare il corto Sunstone (link) all’NYIT. Emshwiller era innamorato della tecnologia e assieme a Smith in 6 mesi costruirono una piccola opera d’arte di 3 minuti, un viso tridimensionale che attraversava un muro, un video espressionista, esposto al MoMA lo stesso anno. 

Ed Emshwiller 
Alvy Ray Smith e Ed Emshwiller 

Nel 1980 Richard Taylor implementò il "PaintBox", un sistema a 24bit prodotto dalla compagnia inglese Quantel, il primo sistema ad implementare un acceleratore hardware per il digital painting per la stampa e il cinema.



Dopo l’acquisizione da parte di Lucas di Smith e Catmull, nel 1981 Smith assieme all’ingegnere Tom Porter nella appena nata Lucasfilm Computer division, implementò gli sforzi in un nuovo sistema di pittura a 32 bit (RGB+alpha channel), chiamato sempre “Paint", disegnato apposta per l’utilizzo cinematografico. Porter fu molto preciso e attento nel realizzare un software che si curasse della risoluzione dell’immagine, della fedeltà del colore e dei problemi di anti-alias.

Tom Porter 


Lucasfilm Computer Division
Pixar 1986 
Pixar 1989
Il gruppo della divisione computer della Lucasfilm testò questo sistema quando la ILM non riuscì a realizzare con i metodi tradizionali la scena “Genesis Effect” per il film Star Trek II: L’ira di Khan (1982) di Nicholas Meyer (link backstage). Smith assieme a Bill Reeves, Tom Duff, David DiFrancesco, Loren Carpenter, Rob Cook e Jim Blinn guidò la creazione di una sequenza spettacolare che usava tutto il loro talento e le tecniche più avanzate per visualizzare movimenti folli e impossibili per una macchina da presa reale soggetta alle leggi della fisica, soprattutto perché il soggetto era un pianeta nella sua evoluzione. Il matte painter Chris Evan della ILM usò il sistema di pittura per creare lo sfondo e la morbidezza delle nuvole che apparivano sul pianeta. La scena infatti combinava più tecniche, frattali, texture mapping, effetti particellari, anti-alias, matte painting digitale e compositing. Fu la prima volta per la Lucasfilm che venne usato il digital paint system per una produzione cinematografica. In seguito fu utilizzato anche per gli effetti speciali dell’uomo di vetro per il film “Young Sherlock Holmes” 1986 di Barry Levinson.




Nel 1983, Alvy Ray Smith ed il suo gruppo fece ulteriori sviluppi ricostruendo la veduta da Point Reyes, il capo più prominente vicino alla baia di San Francisco. Realizzarono il paesaggio con poligoni, frattali, particelle e una varietà di modelli procedurali creati separatamente e mescolati in seguito. In questo lavoro ognuno nel gruppo aveva un compito specifico: Loren Carpenter usava i frattali per la montagna, le rocce e il lago e costruì un programma che ricreasse l’atmosfera per il cielo e la foschia; Rob Cook ideò il concetto d’immagine e ne progettò la strada, le colline, la recinzione e scrisse la texture mapping, studiando la teoria degli arcobaleni; Tom Porter fornì la texture per le colline e scrisse il software di “compositing” (ossia la combinazione di elementi visivi provenienti da fonti separate in singole immagini, per creare l’illusione che tutti questi elementi provenissero dalla stessa scena); Bill Reeves usò i suoi sistemi di particelle per l’erba e scrisse il software di modellazione; David Salesin mise le increspature alle pozzanghere; Alvy Ray Smith progettò e costruì un nuovo software per le piante e i fiori. Lo stesso anno fu implementato il nuovo software di renderizzazione “REYES” (Renders Everything You Ever Saw) oggi l’attuale RenderMan, utilizzato per il rendering di ogni progetto prodotto dal gruppo fino al 1988. 





Nel 1984, Loren Carpenter pubblicò sulla rivista Science un primo esempio di foto-realismo dinamico con l’utilizzo del motion blur: l’immagine rappresentava un dettaglio di un tavolo da biliardo con delle biglie da carambola. 



Tra il 1985 e il 1986 Mark Leather implementò “Layer Paint", un programma a 32 bit sul Pixar Image Computer e nello stesso anno Thomas Knoll, uno studente presso l'Università del Michigan, iniziò a scrivere un programma sul suo Macintosh Plus in bianco e nero chiamato “Display”. Egli catturò l'attenzione di suo fratello John Knoll che lavorava alla ILM, che chiese al fratello di adattare le funzioni incluso il painting in un programma di fotoritocco di immagini a 24bit chiamato “Photoshop” venduto qualche anno dopo ad Adobe.

Pixar Image Computer




Tra il 1986 e il 1988 Alvy Ray Smith assieme a Tom Hahn, uno dei soci di Aurora con Shoup, Michael Shantzis, e Peter Nye implementarono il CAPS (Computer Animation Production System), un sistema di animazione digitale, incluso inchiostrazione, pittura, compositing e animazione a rodovetri digitali su un Pixar Image Computer nella neonata Pixar su contratto Disney. L’idea era quella di sostituire tutto il processo tradizionale di creazione di disegni da animare con l’equivalente in digitale: gli animatori, gli assistenti e gli intercalatori disegnavano a mano su fogli di carta; poi, attraverso uno scanner, ogni frame veniva importato in digitale, ripulito dalle imprecisioni e riempito di colore, aggiungendo infine ombreggiature e trasparenze. Ogni strato, ogni livello di lavoro era inserito su una timeline, ossia nella sequenza degli eventi da animare in senso cronologico, unito agli sfondi dipinti (background). Il CAPS sostituì completamente il banco analogico di animazione per comporre insieme rodovetri e background (detto “multiplane camera”), creando così un banco e una camera virtuale capace di far sviluppare una maggiore tridimensionalità ed elasticità all’immagine. La major di Topolino acquistò interamente il nuovo sistema per iniziare a produrre digitalmente i suoi film. 



Tra il 1990 e il 1991 Smith scrisse un nuovo software chiamato “Composer” a 32 bit, un nuovo sistema di digital painting che usò per fondare una sua nuova società, “Altamira Software”, dopo la sua uscita da Pixar. Il sistema integrava l’anti-alias e fu utile a Microsoft, una volta acquisita, nella crescita grafica per “Microsoft Image Composer” e “Photo Draw 2000”. 



Sia Shoup che Smith furono premiati per la ricerca nel campo della pittura digitale. Nel 1983, il capo tecnico Sandy Campbell e Richard Shoup vinsero un Emmy per l’innovazione nel campo della grafica televisiva. Alvy Ray Smith fu premiato due volte dall’Academy of Motion Picture Arts and Sciences per il contributo scientifico, per la composizione dell’immagine digitale (1995) e per i sistemi di pittura digitale (1997). Nel 1990, Shoup e Smith ricevettero l’ACM SIGGRAPH Computer Graphics Achievement Award per lo sviluppo di “SuperPaint”.




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Disney su Netflix

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Di seguito trovi i titoli Disney presenti sul catalogo italiano di Netflix.
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MyNewGreatStory: 75 anni di Immaginazione, Forma e Funzione - La Storia dei Walt Disney Studios

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“Walt Disney dà per garantito che ogni artista che entra in studio 
intenda fare dell’animazione il suo lavoro per tutta la vita.”

(Brochure Walt Disney Studios - 1938)

Burbank, Los Angeles (CA)
Walt Disney Studios in costruzione, Burbank
Walt Disney Studios, Ingresso, Burbank
Burbank. San Fernando Valley, LA (CA). Sono passati ormai 75 anni dalla prima pietra posta a fondazione degli studi Disney nella cittadina di Burbank vicino Hollywood, incubatore di sogni, forma e progresso. I Walt Disney Studios furono il primo studio di animazione progettato specificatamente per essere il miglior studio di animazione nella storia, costruito ad hoc per migliorare il lavoro dei suoi dipendenti. Il primo studio Disney fu quello di Hyperion Avenue che dal 1926 al 1940 aveva accolto numerosi artisti e tecnici. Walt però anno dopo anno, pensò che fosse il momento di cambiare. Lo studio era diventato un guazzabuglio di persone e di edifici sparpagliati  e sconnessi tra di loro, rendendo sempre più complesso il processo di produzione filmica. Si lavorava alacremente a nuove idee per film come “Fantasia” (1940), “Pinocchio” (1940), “Bambi” (1942) ed a nuovi cortometraggi. Grazie all’enorme successo di “Biancaneve e i 7 nani” (1937) Roy e Walt pensarono di espandersi, mettendo gli occhi su un nuovo terreno di 51 ettari nei pressi di Burbank confinante il Griffith Park, proprietà del Department of Power & Light di Los Angeles fino a quel momento utilizzata a scopo militare.

Insegna Luminosa, Walt Disney Studios, Hyperion Avenue
Walt Disney Studios, Hyperion Avenue
Foto di gruppo, Walt Disney Studios, Hyperion Avenue
Walt pensò di commissionare il progetto dell’intero studio al famoso designer industriale Kem Weber al fine di progettare uno studio moderno e contemporaneo dagli edifici esterni agli arredamenti interni. Il nuovo complesso si trovava tra la Buena Vista e l’Alameda street. Il trasloco dalla sede storica di Hyperion Avenue durò circa 6 mesi. Nel maggio del 1940 il passaggio allo studio di nuova costruzione fu completato. Come ricorda lo storico Neal Gabler nel libro “Walt Disney: The Triumph of The American Imagination”(2006): “Walt si immaginò lo studio in termini psicologici. Dal momento in cui iniziò ad idealizzare la pianificazione dello studio, aveva in mente il grande effetto psicologico dello spazio fisico. Sentiva che se le persone erano felici, avrebbero creato bene.” Frank Crowhurst, sovrintendente alle costruzioni del nuovo studio, ricordò una frase chiave di Walt Disney di quel periodo: “Datemi i progetti e le funzioni distribuite in modo intelligente. Poi non mi interessa quello che fate con l'aspetto, purché non distruggiate quelle funzioni.” Walt Disney costruì per 3 milioni di dollari una cittadella della creatività animata con strade e marciapiedi, lampioni, canali di scolo e attrezzature antincendio, 21 edifici che comprendevano un teatro con 750 posti, un ristorante, tre studi di registrazione, il reparto animazione che poteva accogliere 900 artisti, i parcheggi, una stazione di servizio, un ambulatorio medico, i laboratori di falegnameria, di meccanica ed elettromeccanica, gli uffici casting, l’amministrazione e l’ufficio acquisti.

Roy Disney e Walt Disney
La planimetria degli studi



Fu proprio Karl Emanuel Martin (KEM) Weber il grande progettista ed industrial designer tedesco che diede un’atmosfera molto rigorosa ed ordinata, fluida ed efficiente, di design funzionale a questo studio. Diplomato alla Scuola di Arti Decorative di Potsdam lavorò per i padiglioni tedeschi nel 1910 per “Exposition Universelle” a Bruxelles, nel 1915 per “Panama-Pacific International Exposition” di San Francisco e nel 1928 per “International Exposition of Art in Industry” a New York. Tra i suoi progetti più importanti ricordiamo il negozio di scarpe “Sommer & Kauman” a San Francisco e la “Bixby House” a Kansas City, Missouri. Lo studio Disney per Weber doveva essere un’interpretazione dello stile internazionale dell’epoca con un’enfasi decorativa al suo interno. Fu influenzato dallo stile egiziano e maya, ma soprattutto dal design puro e pulito del modernismo europeo. Egli progettò infatti mobili e suppellettili molto scultorei e regolari come la sedia “Airline” (1934). Non è un caso che lo stile “Streamline Modern” sia un movimento che sostituisce linee rette ed angoli con curve e bordi arrotondati rendendo tutto più sinuoso. Tutto ciò provoca una sensazione di velocità, efficienza e modernità in un modo decisamente americano. Walt infatti voleva costruire una “macchina architettonica per fare film” in maniera efficiente e funzionale e lo stile architettonico doveva essere utile a ricordare ai suoi dipendenti il progresso e la funzione. Weber non solo pensò all’architettura, ma disegnò anche le scrivanie, i banchi di animazione, di layout e di inchiostrazione. Divenne iconico negli studi soprattutto per la creazione di un carattere tipografico chiamato con il suo nome “Kem Weber font”, di ispirazione futurista e modernista utilizzato per la segnaletica e le insegne dello studio.


Airline Chair
Bozzetto Bixby House, Kansas City, Missouri
Zephyr, orologio elettrico



Animation Desk
Kem Weber Font
Disney era comunque coinvolto in ogni aspetto di design nella sua funzione; voleva solo migliorare il processo di creazione costruendo una struttura efficiente. Il processo aveva il ruolo chiave per determinare la vita e la morte di un edificio e lo studio di Burbank costituiva tutto il processo animato. Come ricorda il padre del movimento moderno degli Stati Uniti d’America, Louis Henry Sullivan in un articolo del 1896: “Tutte le cose in natura hanno un aspetto, cioè una forma, una sembianza esterna, che ci spiega che cosa sono, che le distingue da noi stessi e dalle altre cose. Senza dubbio in natura queste forme esprimono la vita interiore dei sistemi naturali, la qualità originaria, di animali, alberi, uccelli, pesci […]. Nella traiettoria del volo dell’aquila, nell’apertura del fiore di melo, nella fatica del lavoro duro del cavallo, nello scivolare gaio del cigno, nella ramificazione della quercia che si aggroviglia intorno alla base nel movimento delle nubi e sopra tutto nel movimento del sole, la forma segue sempre la funzione, e questa è la legge. Dove la funzione non cambia, la forma non cambia […]. È la legge che pervade tutte le cose organiche e inorganiche, tutte le cose fisiche e metafisiche, tutte le cose umane e sovrumane di tutte le manifestazioni concrete della testa, del cuore, dell’anima, che la vita è riconoscibile nella sua espressione, che la forma segue sempre la funzione. Questa è la legge.” Questo era ciò in cui credeva Walt Disney. Per creare il perfetto banco di animazione Walt Disney chiese all’animatore Frank Thomas, uno dei suoi animatori più fidati, di progettarne uno basato sulla sua esperienza. In seguito Walt utilizzava Weber per perfezionare la progettazione e per fabbricare le scrivanie. Come ricorda Bob Thomas “Walt progettava lo studio di Burbank in ogni suo particolare fino al contorno delle sedie.”

Louis Henry Sullivan








La maggior parte degli studi cinematografici di Hollywood erano un mix di teatri di posa costruiti in maniera frettolosa. Walt voleva qualcosa di molto diverso per i suoi talenti creativi. Il suo studio doveva sembrare come un campus universitario ordinato in dipartimenti uniti tra di loro in maniera semplice e funzionale quasi a richiamare la Stanford University. Il complesso si basava su una facile planimetria unita ad un’architettura senza tempo. Si entrava nello studio Disney attraverso uno dei tre ingressi. Il sistema di circolazione interna era basato su una griglia di strade simile ad una cittadella in maniera logica e semplice. Le due strade principali erano la Mickey Avenue, che correva da Nord a Sud, e la Dopey Drive, che viaggiava da Est a Ovest. All'incrocio di queste due strade vi era il famoso “Pluto’s corner”, angolo stradale dove vi era il famoso cartello con Topolino e Pisolo che indicavano l’incrocio tra le due vie principali. Le strade interne erano molto strette con dei marciapiedi utili per invogliare i dipendenti a muoversi a piedi, in bicicletta o su macchine da golf. Muoversi tra i dipartimenti doveva essere un piacere. Le aree di parcheggio non a caso furono realizzate ai bordi dell’intero studio. Gli edifici furono immersi da isole verdi decorate da robuste querce. Ogni servizio ed apparato tecnico fu collocato sottoterra per trasformare il complesso in un parco-ufficio suburbano, intimo ed accogliente.



















Al centro di tutto vi era il cuore di tutto lo studio: l’Animation Building. La progettazione di questo edificio espresse sempre più la filosofia dell'architetto Louis Henry Sullivan il quale sosteneva: “Un edificio adeguato si sviluppa naturalmente, logicamente, e poeticamente da tutte le sue condizioni.” Nel complesso, la volumetria degli edifici fu disposta di elementi orizzontali e linee pulite. Gli edifici ripetettero i vari elementi in tutto il campus, creando un senso di ordine e di armonia. Questo fu un pattern di design chiamato “ripetizione alternata”. In linea con il modernismo, vi fu una mancanza di dettaglio architettonico. Tutte le costruzioni si basarono sui materiali esterni, come i piani di mattoni al piano terra, che furono tenuti insieme con la malta disposti a coppie, uno sopra l'altro. L'edificio sembrò abbracciare la terra. Costruito su tre piani da un struttura a doppia H, permise la distribuzione delle sollecitazioni dovute ai terremoti, ma soprattutto essendo formato da otto ali separate rispondeva al bisogno di avere quante più stanze possibili rivolte a Nord, per una questione di illuminazione. Al primo piano si trovava l’ufficio di Roy Disney e il dipartimento affari, con gli animatori e i loro assistenti, quali gli intercalatori e i clean-up artist; al secondo piano i registi e i layout artist; al terzo piano gli sceneggiatori, gli story artist, i compositori musicali e la suite di Walt Disney. L’ufficio di lavoro di Walt era formale, ma vi era anche una piccola cucina ed un appartamento dove Walt ogni tanto passava la notte. Una copia del suo ufficio la ritroviamo anche nel set della serie tv “Walt Disney’s The Wonderful World of Color”. Per ogni piano vi era una segretaria che gestiva le entrate degli ospiti. 







Ufficio di Walt Disney
La scrivania di Walt Disney
L’edificio poteva risultare alla vista un complesso istituto, così i progettisti giocarono con diverse combinazioni di colori per dare leggerezza ed allegria all’edificio. Si ispirarono al deserto californiano con colori quali terracotta, terra bruciata, rosso, fino ai colori crema più chiari disposti in alto a formare un gradiente. Tuttavia, questa scelta non era solo bella, ma anche funzionale. Walt voleva che il colore degli esterni servisse a calmare gli occhi degli artisti che vedevano colori saturi durante tutta la giornata lavorativa. Gli interni per Walt Disney non dovevano essere tristi o monotoni in termini di colore e nessuna ala doveva avere lo stesso colore. Infatti vennero applicate diverse tonalità di azzurro, grigio e terra bruciata. Lo scopo principale era rendere l’architettura funzionale al lavoro. Ad esempio Il grigio era utilizzato nelle stanze in cui gli artisti avrebbero lavorato con il colore per evitare riflessi di colore sulle pareti. Le finestre dell’Animation Building furono orientate a Nord questo perché la luce del Nord era la migliore essendo una luce costante nel tempo. Gli animatori e i coloristi potevano dipingere tutto il giorno e il soggetto non sarebbe mai cambiato. Le finestre furono dotate di tende da sole in metallo per ogni evenienza. Ogni ala era infatti collegata al corridoio centrale con dei giunti di dilatazione in rame. Così i dipartimenti per l'orchestra, gli effetti sonori e i dialoghi erano ben insonorizzati con materiali isolanti e morbidi, vista la vicinanza con aeroporto Lockheed di Burbank.

















Di fronte all’Animation building vi era quello dell’Ink & Paint comunicante con un tunnel così che in qualsiasi stagione i disegni potessero essere trasportati senza aver paura delle intemperie. Infatti all’epoca la temperatura e l’umidità erano essenziali per la qualità del lavoro e per il comfort dei dipendenti. Un ampio sistema di aria condizionata era stato installato dalla General Electric per aiutare il mantenimento degli edifici, il più possibile pulito, per evitare polvere e pulviscolo sugli obiettivi, sugli acetati e sui film. L’umidità era controllata per mantenere i colori non troppo secchi o troppo appiccicosi. Ogni animatore oltre al tavolo di animazione era munito di moviola ed aria condizionata in ogni stanza in assoluta tranquillità, ma sterile rispetto allo studio di Hyperion che era invece più informale e confusionario. Disney voleva riuscire a creare un luogo di lavoro stupendo sia a livello architettonico in stile Art Decò sia soddisfacente per chi ci lavorava. I dipendenti avevano ogni tipo di comfort dal ristorante al centro benessere. Questa attenzione al dettaglio significava che i suoi artisti in realtà non avevano alcun motivo per lasciare il lavoro. Questo prototipo di studio sarebbe diventato modello per le future imprese high-tech dopo la seconda guerra mondiale. Come ricorda l’animatore Marc Davis “Ogni giorno era eccitante. Qualsiasi cosa facessimo, prima di allora non era mai stata fatta. Andare al lavoro era così entusiasmante. C’erano l’euforia e la competizione; eravamo tutti giovani e stavamo tutti facendo qualcosa d’importante.”









Ciò ricorda molto quello che fece Steve Jobs per la progettazione e la costruzione del Pixar Campus di Emeryville assieme all’architetto Peter Bohlin e al designer Jony Ive in un’intervista nel documentario “The Pixar Story” (2007): “Vogliamo metter tutti sotto lo stesso tetto e vogliamo incoraggiare le collaborazioni non pianificate. Per far accadere tutto questo, la nostra scelta è stata quella di mettere tutto quello che di solito ci porta fuori dall’ufficio durante la giornata lavorativa in un grande atrio nel centro dell’edificio: le porte per entrare in azienda, le scale principali, la macchina del caffè, la sala riunioni, la sala proiezioni e il bagno. E così, dieci volte al giorno tutti i dipendenti si incontrano al centro dell’azienda e mirano le loro idee, parlando con persone che normalmente non vedrebbero nel loro flusso di lavoro”.











Furono poi costruiti 4 studi di posa per la produzione dei film live-action. Lo Studio 1 fu edificato nel 1940 per le sequenze live-action di “Fantasia” (1940). Nel 1948, il produttore e attore tv Jack Webb, amico di Walt, stava cercando uno studio dove registrare una nuova serie. Così firmò un accordo secondo il quale avrebbe co-finanziato la costruzione di uno studio nuovo più grande sul terreno della Disney, in cambio dello spazio per la produzione del suo nuovo spettacolo. Così nacque lo Studio 2, usato per le prime serie di “Dragnet” (1951-1959), destinate ad un lungo successo. Lo Studio 3, con il suo grande serbatoio d'acqua, fu specificamente costruito nel 1954 per produrre il film “20.000 leghe sotto i mari” (1954). Lo Studio 4 costruito nel 1958 fu usato per girare le scene cavernose del film “Darby O'Gill e il Re dei folletti” (1959). In seguito divenne famoso per essere il set di “Mary Poppins” (1964). In questo studio furono costruite la casa della famiglia Banks in Cherry Tree Lane, le strade e il parco del film. Nel 1988 lo Studio 4 fu diviso in due creando lo Studio 5 per le serie tv. A metà degli anni ’50 i primi set esterni permanenti  furono realizzati per la serie tv “Zorro” nel 1957 e per le serie tv con Elfego Baca e Texas John Slaughter. Più film live-action venivano creati più set esterni venivano costruiti. Le prime quattro case residenziali vennero costruite per il film “Un Professore tra le nuvole” (1961), mentre il quartiere finanziario nel 1965 per i film “4 bassotti per 1 danese” (1966) e “I ragazzi di Camp Siddons” (1966). Con gli anni a venire, lo studio si allargò sempre più con campi da softball e nuovi uffici.





















Dopo la morte di Walt Disney gli studi si ampliarono con nuovi iconici uffici. Nel 1985 lo studio di architettura Michael Graves Architecture & Design progettò il Team Disney Building, un edificio di 350.000 metri quadri con 1000 posti auto sotterranei adibito ad uffici. Il design esterno era molto iconico. Lo studio infatti costruì una facciata di 20 metri di altezza in stile greco con capitelli e frontone, reinterpretando in chiave Disney il partenone greco. Le cariatidi infatti erano i 7 nani che si affacciavano su una piazza pedonale con una statua in bronzo di Walt Disney e Mickey Mouse simile a quella di Disneyland. Nel 1994 lo studio Robert A. M. Stern Architect costruì un altro simbolo dello studio, il Feature Animation Building, oggi quartier generale dei Walt Disney Picture Animation Studios. L’edificio fu costruito su 4 piani, iscritto in una torre a forma di cono, ispirato al cappello di Topolino nel film “Fantasia” (1940). I materiali scelti furono gli stessi della progettazione dell’industrial designer Kem Weber.
















Possiamo ammirare lo studio di Burbank nel film “Il Drago riluttante” (1941) per ripercorrere insieme all’attore Robert Benchley tutto il processo creativo dello studio Disney negli anni ’40, soddisfando la grande curiosità riguardo il dietro le quinte Disney. Così recentemente ritroviamo lo studio in funzione nel film “Saving Mr. Banks” (2014) dedicato alla produzione del film “Mary Poppins” (1964) con Tom Hanks nei panni di Walt Disney ed Emma Thompson nei panni di Mrs. Travers. Da ricordare nel documentario “Waking Sleeping Beauty” (2010) anche un giovane animatore di nome John Lasseter che filmò con una cinepresa Super8 la vita degli studi negli anni ’80 e il processo di animazione tra l’analogico e il digitale.



















Walt Disney voleva bene ai suoi dipendenti e come narrava in un suo discorso del 1941 li esortò dicendo: “Voglio dire che per vent’anni ho lavorato duro, mi sono trovato in circostanze davvero difficili, mi sono sacrificato e ho scommesso tutto per portare questa compagnia al punto in cui si trova ora. […] Questa attività è stata, ed è ancora, un’impresa pionieristica. Ciascuno di voi qui è un pioniere. […] Dovremmo sentirci tutti baciati dalla fortuna per essere qui, avere un’opportunità, essere parte di una grande impresa alle sue prime fasi. […] Questa azienda è pronta a progredire. Se volete progredire con essa, dovete essere preparati - dovete essere preparati per un po’ di duro lavoro - dovete migliorare in tutti i sensi - dovete farvi forti. Perché questa società sopravviva alle molte tempeste che l’attendono, deve essere resa forte; e questa forza proviene dalla forza individuale dei suoi dipendenti.”




MR. INCREDIBILE SU UN TRAMPOLINO SPECIALE NELL'ANTEPRIMA DEL NUOVO SPOT CHE DEBUTTERÀ DURANTE LE OLIMPIADI

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Dopo il primo simpatico teaser trailer e la presentazione dei nuovi personaggi, siamo tutti in attesa di assaggiare del succoso nuovo materiale da Gli Incredibili 2, sequel che arriverà a distanza di ben quattordici anni dal primo amatissimo film a giugno negli Stati Uniti e nella solita data Pixar italiana di settembre nel nostro paese.

Se molti avevano predetto uno spot del film per il Superbowl la scorsa domenica, che poi non è stato, toccherà aspettare il 14 febbraio per vedere nuovi immagini dal film e assaggi di trama, che questa volta vedrà Helen Parr in azione mentre Bob si occuperà della famiglia dovendo gestire i poteri di Jack-Jack che per la prima volta si sono rivelati alla famiglia.

Lo spot è stato annunciato con un promo che trovate qui sotto nei primi secondi del video:



Nei primi secondi vediamo del materiale realizzato appositamente per la promozione del film in cui Frozone, Jack-Jack, Violetta e Dash si esibiscono in delle acrobazie sul ghiaccio (l'evento che sponsorizzano è infatti la copertura americana delle Olimpiadi invernali sulla NBC), per poi passare ad una sequenza inedita del film, probabilmente la prima in assoluto che vediamo visto che anche il teaser trailer, come da tradizione Pixar, è stato creato apposta per il marketing, in cui Mr. Incredibile usa Elastigirl come trampolino.
La scena d'azione è probabilmente quella anticipata dalla fine del primo film in cui il Minatore attaccava la città di Metroville appena dopo la gara di Dash. E' facile pensare che il film inizierà proprio da quel momento, quindi sarà ambientato secondi dopo il primo film, quattordici anni invece per noi mortali.

L'ora esatta in cui il nuovo spot debutterà sarà probabilmente, come fa sapere il Pixar Post, nel primetime americano, quindi nella notte tra il 14 e il 15 febbraio in Italia.

Intanto, grazie a Twitter, ecco, tesoro, un poster inedito del film:


Edna Mode sembra che avrà un ruolo considerevole nel sequel, ricordiamo infatti che la campagna marketing del film era iniziata la scorsa estate proprio con lei con una divertente featurette che celebrava la sua retrospettiva e che aveva visto coinvolti nomi come Heidi Klum e Kendall Jenner.

Fonte: Pixar Post, MagicMania, Jace Diehl, Federico.

In questo nuovo episodio i riflettori saranno puntati su Helen, mentre Bob rimarrà a casa con Violetta e Dash per affrontare le imprese quotidiane di una vita “normale”. Sarà un cambiamento difficile per tutti, soprattutto perché la famiglia è ancora ignara dei superpoteri del piccolo Jack-Jack. Quando un nuovo cattivo ordirà un piano malefico e geniale, tutti i membri della famiglia insieme a Frozone dovranno unire nuovamente le forze… più facile a dirsi che a farsi, anche se sono tutti Incredibili.

Gli Incredibili 2è scritto e diretto da Brad Bird, prodotto da John Walker e Nicole Paradis Grindle per la Pixar Animation Studios.
Il film è doppiato in originale da Holly Hunter (Helen Parr), Craig T. Nelson (Bob Parr), e Samuel L. Jackson (Lucius Best).
La colonna sonora è composta da Michael Giacchino. Montaggio di Anthony Greenberg e production design di Ralph Eggleston.


L'EPISODIO PILOTA DI DUCKTALES PRESTO IN DVD

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"WOO-OO!"
Dall'episodio "Woo-oo!"
woo-oo!
Oltre che a rappresentare il richiamo di un'intera generazione, Woo-ooh!è anche il titolo dell'episodio pilota del remake di DuckTales, approdato in Italia recentemente su Disney XD dove ha concluso la trasmissione del primo ciclo di episodi della prima stagione.

Ora il primo episodio di circa 45 minuti arriva anche in home video in edizione DVD in uscita in Italia il 21 marzo 2018 insieme ad altre raccolte di episodi di alcune serie d'animazione Disney come Topolino e gli amici del rally, The Lion Guard e Rapunzel - La serie.

Il disco era uscito in America a dicembre e aveva incluso sei brevi cortometraggi intitolati Benvenuti a Paperopoli che servivano ad introdurre i singoli personaggi prima dell'inizio della serie. Per ora la fonte Videosystem non conferma la presenza di tali corti nel DVD italiano, anche se due sono stati caricati dal canale italiano YouTube di Disney Channel e potete vederli qui.

Dallo special "Regina per un giorno"
Invece per quanto riguarda le altre uscite, in DVD arriva l'episodio pilota di 55 minuti di Rapunzel - La serie intitolato Prima del sì, e, in un'edizione separata, l'episodio speciale, di 44 minuti, Regina per un giorno, in cui Rapunzel si ritrova a governare il suo regno quando i suoi genitori lo lasciano per festeggiare il loro anniversario.
The Lion Guard invece esce con una collezione di episodi chiamata Il ritorno di Scar, che prende il nome dell'omonimo special televisivo in cui Scar ritorna sotto forma di spirito. Nella collezioni sono presenti anche quattro episodi della prima stagione. Questo è il quarto DVD della serie animata dopo Il ritorno del ruggito, Scatena la forza e Le terre dell'avventura.
Anche per Topolino e gli amici del rally si tratta di una collezione di episodi; ben 6 e tutti con protagoniste Minni e Paperina, per un totale di circa 70 minuti. Della serie era uscito già il primo volume con otto episodi.

Di seguito tutte le informazioni tecniche e descrizioni delle uscite del 21 marzo 2018 in home video.

DuckTales - Woo-oo!
Finalmente in DVD il primo episodio dei DuckTales, la serie animata ispirata ai fumetti di Carl Barks, in una nuova versione tutta da scoprire.
La vita diventa una spassosa avventura quando Qui, Quo e Qua scoprono che il trilionario cacciatore di tesori Paperon de Paperoni è proprio il loro zio! Sfortunatamente, Paperone non ha partecipato a molte avventure negli ultimi anni. Saranno proprio i suoi nipotini e la loro amica Gaia Vanderquack a scuoterlo dal suo torpore per convincerlo a partire alla ricerca della misteriosa città sommersa di Atlantide.
Sei pronto a partire con questa incredibile squadra di paperi? Con questo DVD sfiderai terribili nemici, affronterai trabocchetti nei templi e vivrai avventure indimenticabili!

Genere: Animazione
Durata: 42 minuti circa

FORMATO VIDEO: 1.78:1 / 16x9

FORMATO AUDIO: 2.0 Dolby: Italiano, Inglese, Spagnolo, Tedesco, Francese, Ceco.
SOTTOTITOLI: Inglese per non udenti.

Rapunzel - Prima del sì
Dopo tanti anni in una torre, Rapunzel deve recuperare il tempo perduto. Con l’aiuto del suo vero amore Eugene, dei suoi amici Pascal e Maximus e della coraggiosa amica Cassandra, la principessa posticipa il suo matrimonio e gli oneri regali per sfidare il pericolo ed esplorare la vita oltre le mura del regno di Corona. Scintillante di divertimento, avventura e musiche indimenticabili del leggendario Alan Menken, Rapunzel Prima del Sì è un DVD magico che non può mancare nella tua collezione!

Genere: Animazione
Durata: 55 minuti circa

FORMATO VIDEO: 1.78:1 / 16x9

FORMATO AUDIO: 2.0 Dolby: Italiano, Inglese, Spagnolo, Tedesco, Francese, Svedese, Norvegese, Danese
SOTTOTITOLI: Inglese per non udenti.

Rapunzel - Regina per un giorno
Quando Re Frederic e la Regina Arianna lasciano la città per celebrare il loro anniversario, Rapunzel diventa Regina per un Giorno! Sebbene sia il suo primo giorno sul trono è sicura di saper governare. Tuttavia, quando una terribile tormenta minaccia il regno di Corona, la Principessa deve prendere delle decisioni difficili. Rapunzel Regina per un Giorno è un DVD pieno di azione, musica e divertimento che non può mancare nella tua collezione!

Genere: Animazione
Durata: 44 minuti circa

FORMATO VIDEO: 1.78:1 / 16x9

FORMATO AUDIO: 2.0 Dolby: Italiano, Inglese, Spagnolo, Tedesco, Francese, Ceco

SOTTOTITOLI: Inglese per non udenti.

The Lion Guard - Il ritorno di Scar
Kion e la Guardia accettano la sfida quando un nemico ritorna alle Terre del Branco e minaccia il Cerchio della Vita. Con l’arrivo della Stagione Secca, le tensioni aumentano, la pazienza diminuisce e la sete rende tutti particolarmente nervosi. A peggiorare le cose, le iene di Janja, aiutate da Ushari il serpente, scoprono il segreto che potrebbe richiamare lo spirito vendicativo del cattivo Scar! Ora dipende dalla Guardia del Leone e il loro nuovo amico – Makini, il giovane apprendista – difendere le Terre del Branco contro il più grande nemico che abbiano mai affrontato! Sei pronto a vivere una grande avventura con questo imperdibile DVD?

LISTA DEGLI EPISODI:
Il ritorno di Scar
Il problema con i Galagoni
La nuova squadra di Janja
Babbuini!
I Leoni delle Terre di Nessuno

Genere: Animazione
Durata: 135 minuti circa

FORMATO VIDEO: 1.78:1 / 16x9

FORMATO AUDIO: 2.0 Dolby: Italiano, Inglese, Spagnolo, Tedesco, Francese.
SOTTOTITOLI: Inglese per non udenti.

Minni e le aiutamiche
Minni e Paperina non si tirano mai indietro e aiutano sempre i loro amici. Non hanno paura di niente, nessun compito è troppo grande o troppo piccolo per loro e sono sempre preparate a qualsiasi evenienza. Sia che si tratti di fare da baby-sitter ad un uovo che sta per schiudersi, o riparare il Big Ben di Londra in tempo per l’ora del tè. Tante risate e divertimento assicurato con questo DVD che non può mancare nella tua collezione!

LISTA DEGLI EPISODI:
Le uovo-sitter
La hula delle Aiutamiche
Problemi all'ora del tè
Le Aiutamiche e il compleanno
Che pasticcio al Bed and Breakfast!
Tutti a pesca

Genere: Animazione
Durata: 69 minuti circa

FORMATO VIDEO: 1.78:1 / 16x9

FORMATO AUDIO: 2.0 Dolby: Italiano, Inglese, Spagnolo, Tedesco, Francese.
SOTTOTITOLI: Inglese per non udenti.

Fonte: Videosystem.

The Lion Guard è trasmesso in prima visione su Disney Junior, che è in attesa di trasmettere i restanti episodi della seconda stagione, così come per Topolino e gli amici del rally che si trova alla prima stagione; entrambe le serie sono trasmesse in chiaro da Rai Yoyo. Mentre Rapunzel è in onda ogni domenica alle 19:45 su Disney Channel.

Le storie a fumetti di DuckTales sono pubblicati in Italia su Topolino.

IL VIAGGIO ATTRAVERSO IL TESSUTO DELLO SPAZIO TEMPO NEL NUOVO SPOT DI NELLE PIEGHE DEL TEMPO

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"Immaginate che la formica voglia arrivare all'altra mano... Qual è il modo più veloce per farlo?"
Per celebrare i 30 giorni di attesa che ci separano dall'uscita americana di Nelle pieghe del tempo, per l'Italia bisognerà aggiungere altri 20 giorni dato che il film è previsto nelle sale italiane per il 29 marzo, Disney ha pubblicato un nuovo spot del film che svela numerosi scatti inediti dal nuovo lavoro da regista di Ava DuVernay, concentrati soprattutto sul viaggio intergalattico e interspaziale che farà la protagonista per riuscire a salvare suo padre, Chris Pine, scienziato vittima della sua stessa scoperta.

Di seguito potete trovare lo spot che mostra per conquistarsi l'interesse del pubblico numerosi effetti visivi (il budget della pellicola infatti supera i 100 milioni):



Immaginate 91 miliardi di anni luce viaggiati in un'istante.
IL TEMPO
Quindi pieghi lo spazio.
Nelle pieghe del tempo.
E' GIUNTO
E' reale?
Lo vuoi davvero sapere?
Il 29 MARZO
L'AVVENTURA AI LIMITI DELL'IMMAGINARIO PRENDE VITA
Dovrai superare delle prove, sii un guerriero.
Il film è l'adattamento del celebre romanzo omonimo di Madaleine L'Engle del 1963 reso popolare nell'ambiente scolastico americano in quanto si tratta di un'opera letteraria fatta leggere religiosamente agli alunni.

Reese Witherspoon: Lessi il libro probabilmente all'età di dodici anni e l'ho adorato e cominciai a leggere ogni libro della serie (composta da ben otto romanzi sulla famiglia protagonista di questa storia).
Storm Reid: Ho letto Nelle pieghe del tempo in prima media. Ho pensato fin da subito che Meg fossa una bizzarra ragazzina adolescente che non riuscivo a capire fino in fondo ma ero interessata a scoprire sempre di più su di lei.
Oprah: E' questa ragazzina nel viaggio per trovare suo padre e se stessa. Accidenti che storia!
Ava DuVernay: La cosa meravigliosa di Nelle pieghe del tempo è che è stato tradotto in molte lingue ed è stato abbracciato da molte culture diverse. Noi abbiamo cercato di realizzare un film che potesse ricreare quella qualità senza tempo che il romanzo ha.
Oprah: Questa grande avventura di un film è stata una delle più grandi avventure della mia vita.
Reese Witherspoon: Adoro che sia incentrato su una ragazza che deve viaggiare attraverso una moltitudine di dimensioni cercando suo padre; e attraverso queste avventure lei diventa un'incredibilmente potente forza del bene.
Jennifer Lee (sceneggiatrice dell'adattamento): Questo libro ha moltissimi fan, quindi com'è che gli fai giustizia? Ho imparato molto dalla realizzazione di Frozen (che lei ha scritto e diretto), su come sfidare te stessa nello spingere la storia a livelli più alti. Stai cercando di definire l'immaginazione delle persone ma, allo stesso tempo, vuoi che la storia sia concreta e legata a qualcosa di reale.
Chris Pine: Questa è un'avventura bellissima e visivamente dinamica.
Mindy Kaling: Ava è rimasta molto legata allo spirito del libro ma allo stesso tempo l'ha aggiornato in modi emozionanti.
Ava DuVernay: Vogliamo davvero accontentare i fan che adorano questi personaggi, e sono emozionata all'idea che le persone vedano questo film.

Meg Murry è una classica studentessa delle medie con problemi di autostima che cerca disperatamente di integrarsi. Figlia di due fisici di fama mondiale, è intelligente e possiede doti particolari, proprio come suo fratello minore Charles Wallace, tuttavia Meg ancora non se ne è resa conto. A peggiorare la situazione interviene la sconcertante scomparsa del padre, il signor Murry, evento che tormenta Meg e che ha lasciato sua madre con il cuore a pezzi. Charles Wallace riesce però a mettere in contatto Meg e il suo compagno di classe Calvin con tre guide celesti che hanno viaggiato fino alla Terra proprio per aiutare i ragazzi nella ricerca del padre. Tutti insieme intraprendono un viaggio incredibile in cui, attraversando le pieghe del tempo e dello spazio, vengono catapultati in mondi oltre i confini della loro immaginazione, dove saranno costretti a lottare contro una potente forza del male. Per poter tornare sulla Terra, Meg sarà costretta a guardare a fondo dentro se stessa e ad accettare i suoi difetti, correndo contro il tempo, per raccogliere la forza necessaria per riuscire a sconfiggere le tenebre che stanno rapidamente avvolgendo tutto l’universo.
Nelle pieghe del tempoè diretto da Ava DuVernay, scritto da Jennifer Lee, e prodotto da Catherine Hand e James Whitaker per la Walt Disney Pictures in uscita il 29 Marzo 2018 in Italia e il 9 Marzo negli Stati Uniti in 3D e in IMAX.
Il film è interpretato da Storm Reid (Meg Murry), Oprah Winfrey (signora Quale), e Chris Pine (Dr. Alex Murry).
La colonna sonora è composta da Ramin Djawadi. Il montaggio è di Spencer Averick e la fotografia di Tobias A. Schliessler.

DOLCE SOGNAR SUL RED CARPET A QUATTRO ZAMPE PER CELEBRARE L'ICONICA SCENA DI LILLI E IL VAGABONDO

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A Los Angeles la Disney ha recentemente organizzato un evento a quattro zampe per celebrare l'uscita dal Disney Vault, la cassaforte immaginaria presente in America e recentemente abolita per l'Europa con la quale la Disney limita la distribuzione in DVD e Blu-Ray dei suoi classici più amati, di Lilli e il vagabondo, che sembra davvero il film Disney prefetto per celebrare la festa degli innamorati (per i single invece quest'anno ci sarà il nuovo succoso spot degli Incredibili 2 che uscirà proprio il 14).
L'evento è stato organizzato per promuovere la nuova edizione del film in DVD e Blu-Ray sotto etichetta Walt Disney Signature Collection, inedita in Europa, di cui fanno parte per ora Biancaneve e i sette nani, La bella e la bestia, Pinocchio, Bambi, Il re leone, e adesso per l'appunto Lilli e il vagabondo; ed ha visto invitati i cani con i loro padroni per una cena molto golosa.

Infatti gli amici a quattro zampe hanno camminato sul red carpet e ricreato la famosa scena degli spaghetti, e c'è chi l'ha fatto con il proprio padrone.


Eccoli sul red carpet.

Disney Emoji Blitz
Disney ha pensato di dedicare questa festa di San Valentino interamente a Lilli e il vagabondo, tranne ovviamente per lo spot degli Incredibili 2 (ve l'ho già detto che il 14 uscirà un nuovo spot dal film, vero?), anche con un nuovo set di peluche che potete vedere nell'immagine qui sopra e acquistare sul sito o in store.
Inoltre, per tutti gli accaniti player dell'app Disney Emoji Blitz, disponibile per iOS e Android, l'aggiornamento di questa settimana ha permesso di poter aggiungere emoji con tema San Valentino sulla vostra tastiera, e, nel gioco, di poter collezionare Lilli e Biagio.
DisKingdom ci informa anche che il Disney Studio Store ad Hollywood ha rilasciati ai pochi fortunati un'esclusiva pin dedicata al film.


Tra l'altro, è notizia recente che la Disney stia pensando ad un remake di Lilli e il vagabondo, presumibilmente live action, per la sua piattaforma streaming che lancerà in autunno 2019 negli Stati Uniti e che arriverà poco dopo in tutto il mondo. E, mentre ci domanderemo se Lilli e Biagio nel remake saranno interpretati da dei cani in carne ed ossa oppure saranno in computer grafica, ecco delle immagini dalla featurette presente nel DVD e nel Blu-Ray del film distribuito nel 2012, in cui dei cagnolini reinterpretavano la celebre scena. E Per ora ci basta questo.






IL MONDO DI MONSTERS & CO. NEL NUOVO TRAILER DI KINGDOM HEARTS III

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"Mike Wazowski!"
Mentre è in corso il D23 Expo in Giappone, l'evento dedicato ai fan Disney che si alterna annualmente tra Tokyo e Anaheim, Square Enix ha svelato nuovo materiale da Kingdom Hearts III, il terzo capitolo principale della saga videoludica che attinge dai mondi Disney.

Dopo aver assaporato il mondo di Toy Story, in questo nuovo trailer veniamo trasportati, insieme a Sora, Paperino e Pippo, in quello di Monsters & Co. E se in Toy Story Sora e compagni diventano giocattoli, qui, con uno splendido design, li vediamo come cittadini di Mostropoli.

Di seguito il trailer con i sottotitoli italiani incorporati:



Come possiamo vedere, se per il mondo di Toy Story Kingdom Hearts III sarà ambientato tra il secondo e il terzo film della saga, la presenza di Boo nel gioco ci fa immaginare che il gioco prenderà luogo nel corso del primo film.
Nel trailer sono presenti alcune sequenze inedite tratte dal mondo di Toy Story, tra cui il mitico razzo The Big One, ma assaporiamo anche scatti da quello di Rapunzel.
Ancora niente su Big Hero 6, che tra i mondi annunciati per il terzo capitolo, è sicuramente quello più promettente per quanto riguarda l'azione e lo spatial storytelling visto il lavoro incredibile di world building realizzato per la città di San Fransokyo nel primo film e che il gioco sicuramente riadatterà con cura e maestria; ci sarà pure una ragione se Kingdom Hearts III viene continuamente posticipato per le esigenze perfezionistiche del game director Tetsuya Nomura.
Per quanto riguarda invece i personaggi del gioco, viene rivelato il ritorno di Marluxia, membro dell'Organizzazione XIII introdotto in Kingdom Hearts 358/2 Days, che qui si presenta a Sora e compagni. Sarà presente anche Vanitas, l'antagonista di Kingdom Hearts Birth by Sleep che qui compare alla fine del trailer.

Al D23 è stato rivelato anche il brano principale del videogioco; un nuovo singolo di Utada Hikaru, una delle cantanti più popolari e di successo in Giappone, che aveva già lavorato ai brani dei primi due capitoli principali, Hikari per il primo, e Passion per KHII.
Qui il brano invece si intitolerà Don't Think Twice, e qui sotto potete ascoltarne un'anticipazione insieme a nuove sequenze di gioco tra cui una parte finale con Riku.


Non posso usare più questo Keyblade. Sarà meglio lasciarlo qui, nel caso l'altro me ne avesse bisogno.
La data di uscita è stata confermata per quest'anno, e sarà rivelata per la sua interezza all'E3, fiera di videogiochi che quest'anno si svolgerà a partire dal 12 giugno. Le console sulla quali il gioco sarà disponibile sono Xbox One e Playstation 4.

Kingdom Hearts segue le avventure del protagonista principale, Sora, capace di impugnare un Keyblade, e del suo viaggio attraverso numerosi mondi Disney con Paperino e Pippo per fermare l'invasioni degli Heartless sigillando la porta di ogni mondo e riportando la pace nel regno.
 Di seguito la timeline principale della saga, preceduta dall'app Kingdom Hearts Union X.

VIAGGIO NELLA STORIA DISNEY

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In esposizione al D23 Expo, che si sta svolgendo questo weekend a Tokyo in Giappone, i Walt Disney Archives, archivio che opera da più di quarant'anni raccogliendo e preservando materiale storico riguardante la compagnia, ha messo in mostra il suo archivio e l'ha reso accessibile ai visitatori della fiera.

D23 ha organizzato una Facebook Live che potete trovare qui sotto, che mostra e spiega, grazie alla curatrice degli archivi, i numerosi oggetti di scena, tra cui costumi e modelli, che celebrano la ricca storia Disney.

Di seguito il video con la nostra trascrizione tradotta:



Sono Michael Vargo di D23, e io Becky Cline dei Walt Disney Archives, e Becky vi porterà in giro per mostrarvi tutti i tesori che abbiamo qui in esposizione. Una delle cose che amiamo di più riguardo questa esposizione è che rappresenta interamente i Walt Disney Archives ed il suo materiale in mostra, tra cui molti beni riguardanti Topolino.
Abbiamo gli stessi stand presenti a Burbank rappresentati qui nello stesso identico modo. Qui ci sono alcuni ritratti dipinti da John Hench a seconda dei vari anniversari di Topolino, e vari oggetti; le persone amano questi cappelli di Topolino con le orecchie, che qui abbiamo a partire dal primo risalente agli anni '50 di Disneyland, e alcuni esempi di merchandise tra cui molti che risalgono agli anni '30. Qui c'è anche un telefono di Topolino con una cornetta fatto all'epoca per il Giappone; ci fu anche un'equivalente americano nella sua variante rossa. L'oggetto che amo di più in questa mostra è l'album di fotografie che è lo stesso che Walt Disney teneva in mano mentre pronunciava per la prima volta "Spero solo che non perderemo di vista una cosa - che è tutto cominciato da un topo" nell'episodio televisivo di Disneyland intitolato A Tribute to Mickey Mouse trasmesso nel 1955. Si tratta quindi di un documento storico molto importante.
L'area degli archivi principale, dov'è presente un'immagine a grandezza naturale di Walt Disney, è stata concepita per rappresentare al meglio lo spirito di un'archivio, con una stanza di lettura, e tutte le stanze dedicate al processo di ricerca.
Su un muro sono esposti alcuni libri che hanno come argomento l'animazione e la storia Disney scritti da ricercatori che hanno usufruito degli archivi Disney per le fonti e per documentarsi (ne trovate alcuni sopra al nostro sito raggruppati sotto il titolo "Le bibbie dell'animazione Disney").
Ci sono alcuni oggetti che raccontano loro stessi la storia dell'archivio, formato nel 1970, tra cui una delle loro prime brochure, l'insegna che era affissa nel primo archivio e la spilla e l'identificativo di Dave Smith, archivista emerito degli archivi Disney; ritirato nel 2010 dopo un'attività di 40 anni presso la compagnia, Dave continua ancora a lavorare come consulente e gestisce e scrive la rubrica Ask Dave, presente dal numero di luglio 1983 sul Disney Channel Magazine, e poi trasferitasi online su D23.com, che risponde ai quesiti dei fan Disney, dal cognome di Cenerentola al numero di triangoli presenti sulla superficie della struttura dell'Astronave madre all'Epcot. Potete scrivergli anche voi se avete una domanda Disney sul sito del D23.com. Da quest'esperienza trentennale è nato il libro Disney Trivia from the Vault.
Proseguendo abbiamo il disco d'oro assegnato a Mary Poppins nel 1964 ed alcuni poster originali come quello serigrafato a mano per l'attrazione di Peter Pan e quello di Pirati dei Caraibi a Disneyland in Anaheim, e del materiale mai esposto prima d'ora come gli oggetti di scena usati nelle riprese del live action de Il libro della giungla. Ovviamente nel recente remake non sono stati utilizzati molti costumi e oggetti di scena perché la maggior parte di questi sono stati realizzati al computer, ma qui abbiamo esposto il costume che indossa Mowgli quando è bambino, e per rappresentare gli altri personaggi nel film sono stati utilizzati questi pupazzi che vedete qui che hanno avuto il compito di essere un punto di riferimento per l'attore quando girava.
E, parlando sempre di oggetti di scena mai mostrati prima d'ora, abbiamo Lady Tremaine dal recente live action di Cenerentola, assolutamente meraviglioso. Indossato da Cate Blanchett nel film, questo è uno dei nostri oggetti preferiti in questa mostra insieme al vestito da sposa in Principe azzurro cercasi indossato da Anne Hathaway nel ruolo di Mia Thermopolis.
Non abbiamo solo beni cinematografici qui in mostra ma anche del materiale dai parchi Disney; questi sono oggetti che provengono da Walt Disney World in Florida e riguardano la Haunted Mansion, la famosa attrazione della casa stregata.
Sempre parlando di costumi abbiamo quelli del live action de La bella e la bestia, una delle nostre più recenti acquisizioni qui nell'archivio; esposto c'è il vestito cerimoniale indossato da Belle nell'ultima scena del film, i modelli di Lumière, Tockins, Mrs. Bric e Chicco, che nel film sono in CGI ma sono basati su questi modelli qui in esposizione. Ed infine ecco il costume della bestia, anche questo mai messo in esposizione prima d'ora. Questo è così bello e gigante allo stesso tempo e i dettagli tra cui i ricami sono eccezionali. Poi ovviamente c'è il vestito del ballo di Belle, mostrato ai fan al D23 Expo la scorsa estate.
Nella stanza successiva c'è un ufficio estremamente speciale, che solo i membri Gold del D23 possono vedere dal vivo ma la cui replica, eccezionalmente, abbiamo portato qui in Giappone agli occhi di tutti. Stiamo parlando dell'ufficio di Walt Disney. I realizzatori di Saving Mr. Banks, tra cui l'art director e il regista insieme agli attori, hanno condotto delle ricerche su Walt Disney qui negli archivi Disney prima di produrre il film, e ci hanno chiesto se avevamo dei materiali sulla produzione di Mary Poppins, e abbiamo condiviso con loro molti beni. Tra questi ci sono gli sketch sui costumi da cui hanno realizzato, basandosi su quelli, oggetti di scena per Saving Mr. Banks. Qui ora abbiamo quelli del recente biopic, mentre per Mary Poppins in esposizione ci sono solo degli schizzi. Inoltre abbiamo la sceneggiatura finale di Mary Poppins che abbiamo condiviso con il regista, e siamo riusciti a risalire all'invito per la premiere di Mary Poppins, il biglietto per la premiere, e un biglietto di Disneyland degli anni '60, che hanno ricreato per il film realizzando degli oggetti di scena che poi sono stati appunto usati in Saving Mr. Banks; e qui li esponiamo entrambi fianco a fianco. Inoltre abbiamo una foto di Walt Disney che veniva usata come fan card, e da questa hanno ricreato la versione di Walt Disney interpretata da Tom Hanks.
Infine eccoci giunti all'ufficio di Walt Disney, che dopo essere stato restaurato a fine 2015, si trova ai Walt Disney Studios nell'Office suite 3H, in Burbank. Invece quello che abbiamo qui è l'ufficio ricreato dall'art director di Saving Mr. Banks che, grazie agli oggetti presenti nell'ufficio originale, è riuscito a ricreane uno appositamente per i set del film, che è quello che vedete qui oggi.
I Walt Disney Archives si occupano anche di gestire il programma Disney Legends che celebra gli individui che hanno scritto la storia della compagnia, e questa è una riproduzione del Disney Legends Plaza, presente sempre nella sede di Burbank dove sono presenti placche di bronzo con i nomi dei singoli riceventi del premio, con la motivazione per cui sono stati insigniti del premio, e, se sono stati vivi al momento dell'assegnazione, con la loro firma e impronta delle mani. Inoltre abbiamo anche i modelli e sculture originali che sono stati utilizzati per ideare la facciata del palazzo Team Disney a Burbank, in cui i sette nani di Biancaneve sorreggono l'edificio per simboleggiare il fatto che senza il successo di Biancaneve e i sette nani tutto questo non esisterebbe; infatti proprio con i soldi dell'incasso del film poterono costruire lo studio di Burbank. Sembra di essere proprio a Legends Plaza in questo momento.
Per concludere volevano condividere con voi il tributo ai nuovi partner Disney: Pixar, Lucasfilm e Marvel. E, per celebrare queste entità, abbiamo deciso di concentrarci sulle singole figure delle compagnie. Quindi abbiamo realizzato un tributo a Steve Jobs per la Pixar; George Lucas, Mark Hamill e Carrie Fisher per la Lucasfilm; e Jack Kirby e Stan Lee per la Marvel, alcuni di loro proprio recentemente sono diventati Disney Legends.
L'ultima parte della nostra mostra è molto esclusiva e unica. I fan Disney in Giappone non conoscono che il rapporto tra Disney e il Giappone in realtà dura da parecchio tempo. Molti pensano infatti che la loro sinergia sia iniziata solo dai primi anni '80 quando iniziò la costruzione di Tokyo Disneyland. Ma in realtà cominciò molto prima, quindi abbiamo realizzato una timeline che mostra il rapporto tra Disney e il Giappone che si sviluppò già a partire dagli anni '20, ed è continuato fino ai giorni nostri. Quindi gli oggetti in quest'area celebrano tutti questo rapporto speciale; ci sono dei pezzi da collezione, alcuni di questi acquistati da collezionisti privati. Molti riguardano il merchandise tra cui alcune linee che Walt supervisionò negli anni '50. Non tutti conoscono queste collezioni proprio perché sono stati realizzate esclusivamente per il Giappone.
Di seguito trovate anche altre immagini della mostra che la diretta video non ha coperto. Tra cui la ricostruzione della scrivania di un animatore al lavoro su Fantasia, e i costumi di Pirati dei Caraibi, Alice attraverso lo specchio, TRON Legacy, The Rocketeer, e Tomorrowland.





Se volete approfondire, vi consiglio l'articolo scritto da Pietro Grandi su questo sito in merito ai Walt Disney Archives che merita assolutamente almeno un'occhiata.
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